Lavoro. Il Sulcis era il motore della Sardegna. Ora rischia di spegnersi
Just Transition Fund è il nome del “treno” che di qui al 2026 attraverserà i 23 comuni del Sulcis-Iglesiente. Porta 367 milioni di euro destinati alle 9.519 imprese del territorio, ossigeno in arrivo dal fondo comunitario che sostiene le Regioni e i territori maggiormente sensibili ed esposti alle conseguenze del passaggio verso la neutralità climatica. Due anni per raddrizzare una situazione economico-sociale insostenibile. Un terzo del Pil territoriale, infatti, arriva dalle pensioni; demografia al collasso: il rapporto tra la popolazione con più di 65 anni e quella attiva (15-64 anni), ora intorno al 40 %, nel 2050 supererà il 90%. Tra il 2022 e il 2023 persi quasi 1.300 residenti: praticamente è scomparso un centro abitato. Disoccupazione giovanile al 36% come la percentuale dei Neet ( i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano).
I sindacati chiedono un tavolo permanente
I sindacati parlano di “Paradosso - Sulcis”: «Tra Pnrr, Jtf e un vecchio piano territoriale risalente a 12 anni fa – dice Salvatore Vincis, segretario generale Cisl – abbiamo un consistente pacchetto di risorse, in aggiunta a progetti mirati, che devono essere messi a sistema e finalizzati a mitigare gli effetti economici e occupazionali causati dalla transizione. Chiediamo un tavolo permanente di trattativa con governo e Regione». Ci sarà ancora un futuro industriale per questo territorio storicamente motore della grande impresa miniero- metallurgica della Sardegna? Se lo chiedono un po’ tutti perché di solo turismo, ambiente e beni culturali l’economia isolana non può vivere. Lo spegnimento delle ciminiere e la drastica riduzione delle attività, soprattutto nel polo di Portoscuso, ha contribuito a portare il settore industriale sardo al di sotto della soglia del 10% di valore del Prodotto interno lordo regionale (contro una media nazionale del 22%): dal 2007 a oggi persi 2,6 miliardi di euro. Il “piano Sulcis” compensativo di 806 milioni lanciato 12 anni fa procede a rilento: soldi stanziati ma poche opere cantierate. «Il polo industriale di Portovesme – dice Giampaolo Atzei, direttore del settimanale diocesano SulcisIglesienteoggi – ancora non rappresenta una carta consunta. Gli impianti dell’Eurallumina, in mano alla Rusal, sono fermi dal 2009 con circa 400 lavoratori (tra diretti e indiretti) in cassa integrazione a rotazione. Ripresa prevista nel 2026, dopo aver messo in atto un programma di investimenti che superano circa 300 milioni di euro». Cig anche alla Portovesme srl da ottobre 2021, giustificata dalla Glencore con l’alto costo dell’energia. Nel 2022 l’azienda ha proposto un piano di riconversione, basato su un progetto di un impianto pilota per la produzione di litio, ad oggi bloccato: ci sono forti perplessità per i rischi ambientali legati allo smaltimento delle scorie. Fonti vicine alla Portovesme srl confermano l’interesse manifestato al ministero da una cordata di imprenditori italiani per continuare a produrre zinco, piombo, oro e argento, occupazione garantita per quasi 600 diretti e circa 300 indiretti. Incertezza alla Sider Alloys, ex Alcoa. Gli impianti sono fermi. «Anche in questo caso – aggiunge Atzei – è noto l’interesse di una compagnia del settore alluminio che avrebbe presentato una manifestazione di interesse ad acquisire la società». Rimane ancora in piedi il progetto del Polo Nautico, elaborato dal gruppo Navigo insieme con la Società Den Yachts: prevista un’occupazione iniziale per 350 lavoratori (a regime a 1500).
La Chiesa: la vocazione industriale rimane importante
La Chiesa si è schierata apertamente. «La vocazione industriale del territorio rimane importante – dice il cardinale Arrigo Miglio, amministratore apostolico della diocesi di Iglesias – specialmente per l’area di Portoscuso, pur con tutte le trasformazioni che si rendono necessarie: stiamo parlando in totale di alcune migliaia di posti di lavoro, ma anche di un troppo lungo periodo in cui si è cercato di tamponare con gli ammortizzatori sociali. C’è il problema dei costi energetici, per i quali le istituzioni si sono impegnate per ottenere riduzioni significative. Ma in questi anni è motivo di incertezza e di sofferenza la poca chiarezza da parte di alcune imprese circa intenzioni e progetti futuri, e tutto questo blocca anche altre possibilità che si sono affacciate da parte di nuovi imprenditori. Si parla di riconversioni industriali, ma anche queste devono tradursi in progetti concreti, senza mettere a rischio i posti di lavoro. Quella industriale rimane dunque una vocazione necessaria per il territorio, necessaria anche per favorire lo sviluppo in ambito agricolo e turistico. E intanto ogni anno continua l’emorragia di centinaia di giovani costretti a cercare lavoro fuori Regione».