"Siamo agricoltori senza terra. In Italia si contano circa 40mila apicoltori. E nonostante il crollo del raccolto, molti giovani si sono avvicinati a questa attività. Il ricambio generazionale è frutto della crisi. In molti casi l'hobby è diventato professione principale".
Diego Pagani, presidente di Conapi, Consorzio nazionale apicoltori, traccia un bilancio di luci e ombre.Oltre 400 tonnellate in meno di miele di acacia e segno meno anche per tutte le altre varietà. Questo il preoccupante confronto tra la produzione 2015 e quella 2016. Le cause sono da ricercare sia nelle condizioni climatiche avverse, sia nel progressivo indebolimento delle api, anche a causa dell'uso di pesticidi in agricoltura. Le conseguenze saranno un innalzamento dei prezzi e un aumento del rischio di sofisticazioni.È allarme per l’apicoltura: dal punto di vista del raccolto, il 2016 andrà in archivio come uno dei peggiori degli ultimi 35 anni, complice ancora una volta l’effetto di due fenomeni che rischiano di trasformarsi in vere e proprie calamità: i cambiamenti climatici e l’abuso di pesticidi in agricoltura. Senza contare che la situazione è estesa all’intera Europa, comprese aree geografiche come i Paesi dell’Est, solitamente grandi produttori di miele. Come forse mai in passato, è dunque importante sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità competenti su questa crisi e sui rischi ad essa connessi, non solo per la sopravvivenza economica del comparto, ma anche per l’equilibrio dell’intero eco-sistema.Fa sperare, comunque, l'avvicinarsi delle nuove generazioni a questa attività. "Per dare un reddito - precisa il presidente di Conapi - servono tra i 100 e i 150 alveari. Ognuno ha un'ape regina e 50mila api. Il costo è di 120 euro a famiglia. Poi servono locali e attrezzature che possono essere acquistate anche in leasing. Oltre all'autorizzazione sanitaria. Inoltre organizziamo corsi di formazione e aggiornamento in ogni provincia".I dati mostrano, in tutta la loro oggettività, che la produzione 2016 è andata addirittura peggio del 2008, l’
annus horribilis che evidenziò i danni legati all’uso dei neonicotonoidi nelle colture del mais e portò al varo del progetto di ricerca Apenet, che si prefiggeva di valutare l'efficacia e gli effetti conseguenti alla sospensione dell'uso dei neonicotinoidi e fornire risposte alle problematiche legate ai fenomeni di mortalità e di spopolamento di famiglie di api.Per fare solo qualche esempio, basti pensare che il solo miele di acacia bio è passato dalle 437 tonnellate prodotte nel 2015 alle 184 tonnellate di quest’anno; il miele di acacia convenzionale è precipitato da 266 a 91 tonnellate; il miele di agrumi è sceso da 54 a 35 tonnellate per la produzione bio e da 174 a 148 tonnellate per quella convenzionale. Tutto questo nonostante il costante aumento degli alveari messi a produzione (22.200 contro i 19.916 del 2015 nel caso del miele di acacia bio, 15.069 contro i 13.055 del 2015 per quello convenzionale; 3.255 contro 2.212 del 2015 per quello di agrumi bio) e di una base sociale di apicoltori che rimane sostanzialmente inalterata.I dati del Consorzio non si discostano dall’analisi presentata in anteprima da
Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Miele, che però aggiunge anche una nota positiva, ovvero che il settore è in crescita e, soprattutto, che è in crescita la professionalità: "Sulle oltre 42mila aziende censite in Italia ben 20mila hanno partite Iva, per cui si tratta di professionisti che producono reddito con questo tipo di attività".A fronte del progressivo calo di produzione, occorre attivare tutte le strategie possibili, per arginare un fenomeno che non accenna a diminuire. È dunque importante mantenere aggiornati i dati sugli avvelenamenti, che hanno mostrato la rilevanza del fenomeno, dando conclusione all’iter di finanziamento della Rete Nazionale di Monitoraggio Apistico, nata prima con il progetto “Apenet” (2009-2010) e poi con il progetto “BeeNet” (2011-2014) per raccogliere informazioni sullo stato di salute delle famiglie . Nel nuovo progetto “BeeNet” le api assumeranno il fondamentale ruolo di biondicatori dello stato di salute dell’ambiente, da cui si desumeranno anche le problematiche apistiche legate agli avvelenamenti da pesticidi.Solo attraverso una ricerca sistematica e autorevole sarà possibile approfondire tutte le variabili che condizionano questo importante segmento produttivo. Da molti soci Conapi, dal nord al sud d’Italia, viene segnalata una preoccupante riduzione della spinta produttiva delle api. Secondo il Consorzio, questo fenomeno merita dunque approfondimenti sistematici, anche attraverso l’utilizzo dei rilevamenti della “rete Beenet”, in grado di inquadrare il fenomeno in un ambito scientifico."Siamo certi che potremo contare ancora sul sostegno del ministero che ha ben presente l’importanza strategica del comparto e che sarà sostenuto dalla collaborazione degli apicoltori - afferma Pagani -. Mentre agli estimatori di miele chiediamo di porre la massima attenzione alla qualità del prodotto acquistato, controllandone con attenzione anche la provenienza e abituandosi tra l’altro a cercare il miele che, nell’annata in corso, è stato più abbondante, come per esempio è avvenuto per il coriandolo nel 2016".Il crollo della produzione rischia infatti di favorire due problemi strettamente connessi: da un lato, l’inevitabile innalzamento dei prezzi, con conseguenti problemi sul fronte distributivo/commerciale; dall’altro, la possibile apertura a nuove sofisticazioni. In relazione a quest’ultima, va posto l’accento sul fenomeno delle triangolazioni tra Cina e Paesi europei che rappresenta una delle principali vie d’introduzione di prodotti sofisticati in Italia. Su questo fronte Conapi chiede pertanto la conferma, se non il rafforzamento, dell’efficace azione di controllo delle forze dell’ordine, affinché il danno subito dal comparto non sia ulteriormente aggravato. “Il miele italiano è sicuramente un’eccellenza - dichiara il viceministro
Andrea Olivero - e siamo tra coloro che meglio lavorano in purezza. È necessaria una strategia complessiva per ragionare su tutto il comparto e ringrazio Conapi per l’importante lavoro fatto in termini di aggregazione in questo senso. A noi il compito di mantenere alto il livello di vigilanza e dare continuità alle iniziative di sostegno al settore. La qualità del miele italiano non dipende solo dalle vantaggiose caratteristiche climatiche del Paese ma soprattutto dalla professionalità dei nostri apicoltori. Il tema dell’italianità non è dunque solo un tema di bandiera ma di reale qualità”.