Lungo il confine tra Italia e Svizzera scorre l’intrigo dell’estate. Non è ancora risolto il mistero dei 134,5 miliardi di dollari in titoli Usa sequestrati il 4 giugno dalla Guardia di finanza a due controversi cittadini giapponesi. Da due mesi va avanti un gioco di specchi che coinvolge servizi segreti, faccendieri, banche centrali e magistrati. Una partita nella quale nessuno parla chiaro e molti tacciono. In prima linea c’è l’United States secret service , l’agenzia federale di 007 alle dirette dipendenze della Casa Bianca. Da Washington viene ribadito che quelli rinvenuti nel doppiofondo di una valigia dei due nipponici sono «strumenti contraffatti». Quando però chiediamo se gli Stati Uniti sono in grado di produrre un documento ufficiale che certifichi la «non autenticità» dei titoli, dal servizio segreto otteniamo una risposta evasiva: «Non abbiamo un rapporto che possiamo rendere pubblico», dichiara ad Avvenire l’agente speciale Darrin Blackford, lasciando intendere che esisterebbe una relazione top secret. «Comunque posso confermare – asserisce il portavoce del Servizio segreto – che i bond a cui fate riferimento sono strumenti contraffatti». Il punto è che «non abbiamo mai sentito di una nostra commissione investigativa sul tema dei bond», sostiene invece una fonte della diplomazia Usa in Italia. Né risulta che sia mai stata trasmessa alle autorità italiane una perizia sull’autenticità della documentazione. Dal ministero del Tesoro non arriva nessuna risposta. Fonti investigative confermano però che la Guardia di finanza e la procura della Repubblica di Como non hanno ricevuto alcuna indicazione ufficiale. Tant’è che l’intero incartamento rimane chiuso sotto chiave in una cassaforte del tribunale comasco. Si tratta di 249 bond della Federal Reserve (la Banca centrale americana), del valore nominale di 500 milioni di dollari ciascuno e dieci titoli denominati «Kennedy note» del valore nominale di un miliardo di dollari. La documentazione era accompagnata da circolari bancarie sulla cui autenticità non è stato espresso alcun dubbio. In particolare i «Kennedy notes» sarebbero non delle obbligazioni di Stato ma vera cartamoneta. Bigliettoni da un miliardo stampati direttamente dal governo Usa e non dalla Reserve. I notes possono essere emessi in forza di un decreto presidenziale firmato il 4 giugno 1963 da John F. Kennedy, il quale autorizzava l’esecutivo a mettere in circolazione denaro a fronte delle riserve d’argento. L’ordine firmato da Jfk non è mai stato abrogato. Tutt’oggi il governo statunitense può stampare denaro in proprio, senza passare dalla banca centrale. Generalmente, spiegano gli esperti di mercati valutari, si tratta di 'banconote' adoperate esclusivamente nei rapporti tra Stati, spendibili soprattutto in «merci e servizi». Indagando sul conto dei cittadini giapponesi denunciati a Como si scoprono retroscena poco rassicuranti. Il 55enne Akihiko Yamaguchi è imparentato con l’ex vice governatore della Banca centrale giapponese Toshiro Muto, dimessosi per ragioni personali pochi giorni dopo il sequestro dei titoli. Yamaguchi ha un passato da alto dirigente del ministero delle Finanze di Tokyo, ma alcuni anni fa avrebbe subito una condanna a 20 anni di prigione per frode. Si trattava dell’affaire «Japanese 57 Series Bond», titoli del valore nominale di 500 miliardi di yen, oltre 68 miliardi di euro. Bond autentici, ma emessi senza autorizzazione. Una operazione compiuta proprio con il suo complice a Chiasso, il 72enne Mitsuyoshi Watanabe. Pur con una pesante condanna alle spalle i due sono arrivati in Italia co passaporto giapponese e qui hanno incontrato un importante imprenditore lombardo, tale A.S., che in passato ha rivestito importanti incarichi nel Consorzio internazionale trasporti di Roma. L’avvocato dei due giapponesi, Massimo Schipilliti, ha lasciato l’incarico: «Ho avuto contatti solo con un loro delegato – spiega – e mai con i diretti interessati», che nel frattempo sono tornati a Tokyo. Tallonati da agenti segreti italiani e statunitensi. Come dire che contraffatti o no, in molti vogliono capire per chi lavorano i due postini di «strumenti contraffatti».
I precedenti. Il transito illecito di titoli di Stato e valute estere è una delle specialità degli spalloni tra Italia e Svizzera. Talvolta però a commissionare il contrabbando di titoli sono organizzazioni internazionali e talvolta persino “governi pirata”. Un altro caso assai sospetto è del 2 aprile. La Guardia di finanzia del comando provinciale di Sondrio in quella data intercettò a un valico di confine in Valtellina un cittadino di 50 anni, di nazionalità svizzera, che stava importando in Italia circa 100mila Won, moneta in corso nella Corea del Nord. La valuta può circolare liberamente solo all’interno di quel Paese, sottoposto a embargo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dall’Ue. La somma di denaro, per un controvalore stimato in circa 50 mila euro, ai controlli condotti con il supporto tecnico della Banca d’Italia e dei funzionari doganali, non risulta contraffatta e in parte è stata sottoposta a sequestro. Lo svizzero, che si è rifiutato di dare spiegazioni sul possesso della valuta coreana e sulla sua destinazione, è stato denunciato in stato di libertà alla procura di Sondrio. Alcune settimane prima, il 17 marzo, la guardia di finanza di Ponte Chiasso sequestrò al valico italo-svizzero di Brogeda dieci bond, titoli obbligazionari statunitensi, per un controvalore complessivo di cento milioni di dollari, pari a circa 77 milioni di euro. Le obbligazioni (autentiche) erano nascoste nel bagaglio di un consulente finanziario svizzero di 52 anni che, a bordo di un’auto, cercava di entrare in territorio italiano.