Taranto. Governo-Mittal, è rottura sull'ex Ilva. Giovedì i sindacati a Palazzo Chigi
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Il gran rifiuto di Arcelor Mittal spiana la strada al ritorno dello Stato come socio di maggioranza dell’ex Ilva. Era nell’aria da settimane, se non da mesi, ma adesso è diventata una certezza: solo una crescita della quota dell’azionista pubblico rispetto al 38% attuale può impedire la chiusura dell’acciaieria più grande d’Europa. Nel corso dell'incontro di oggi a Palazzo Chigi con il colosso siderurgico sull'impianto di Taranto, la delegazione del governo ha proposto agli attuali vertici dell'azienda la sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale, pari a 320 milioni di euro, così da concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva. La risposta è stata picche. A quel punto, secondo quanto riferiscono dall’esecutivo, preso atto dell’indisponibilità di Arcelor Mittal ad assumere impegni finanziari e di investimento (anche come socio di minoranza) «il governo ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale». Alla luce della rottura della trattativa sulla ricapitalizzazione, non è escluso che si possano aprire contenzioni con Arcelor Mittal, anche se il governo proverà in ogni modo a evitare una battaglia legale.
Ad ogni modo non sarà facile trovare in pochissimo tempo una soluzione che dia stabilità all’ex Ilva e le permetta di andare avanti. Anche perché il fattore tempo non gioca certo a favore. Mercoledì, infatti, termina l'obbligo imposto dal Tar a Snam di continuare ad alimentare di gas il sito siderurgico di Taranto. Anche al di là delle esigenze di cassa più immediate, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, nei giorni scorsi aveva indicato in 1,3 miliardi il supporto finanziario necessario a garantire un futuro produttivo all'impresa, come previsto dal piano industriale, per le esigenze legate alla produzione e l'acquisizione degli impianti. Serve una mole ingente di liquidità, insomma. E non è detto che le risorse necessarie a rilanciare l’impianto ci siano. Non a caso sul tavolo restano varie opzioni d’emergenza, alcune delle quali non gradite ai sindacati. Per esempio c’è l’ipotesi di arrivare all’amministrazione straordinaria su richiesta del socio pubblico, che per le sigle metalmeccaniche equivarrebbe a una pietra tombale su un vero rilancio industriale della fabbrica. Un’alternativa è il ricorso alla composizione negoziata di crisi, procedura stragiudiziale che consente di attivare misure protettive a tempo per evitare che i creditori aggrediscano il patrimonio.
Qualche indicazione in più su quale soluzione verrà adottata emergerà nelle prossime ore. Intanto il governo ha convocato i sindacati a Palazzo Chigi giovedì alle 19. Un nuovo incontro, dopo quello interlocutorio tra Natale e Capodanno, per fare il punto sulla vicenda e discutere i pro e i contro delle strade percorribili.
A giudizio degli stessi sindacati (ma non solo), considerato lo status quo, con la fabbrica in declino e le casse vuote, lo Stato in maggioranza (seppure temporaneamente) costituisce l’unica via da seguire per garantire un futuro all’ex Ilva. Messo questo punto fermo, il resto verrà dopo: dalla revisione della governance societaria all'amministratore delegato, dal piano industriale alle sorti dell'indotto.
In attesa di essere ricevuti a Palazzo Chigi i sindacati fanno fronte comune e giudicano con parole dure il comportamento del socio privato. «L'esito dell'incontro del vertice conferma quello che Fim Fiom Uilm hanno denunciato e per cui hanno mobilitato le lavoratrici e i lavoratori: la necessità di un controllo pubblico e la mancanza di volontà del socio privato di voler investire risorse sul futuro dell'ex Ilva – sostengono i segretari generali di Fim-Cisl Roberto Benaglia, Fiom-Cgil Michele De Palma e Uilm-Uil Rocco Palombella –. L’indisponibilità di Mittal è gravissima, soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano oramai i lavoratori e gli stabilimenti, e conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese», Dopo tante parole e rassicurazioni i sindacati pretendono dal governo risposte certe: . «Ci aspettiamo una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale».
Se non nell’immediato, la ricerca di un nuovo partner industriale che possa subentare nel capitale azionario resta una priorità per il prossimo futuro. Si guarda a soci nazionali, ma senza preclusioni verso multinazionali estere, nonostante i precedenti con i gruppi stranieri non certo incoraggianti.