Transizione energetica. Il difficile addio al carbone
La centrale termoelettrica Eugenio Montale, inaugurata nel 1962
Arrivando alla Spezia dall’autostrada, la ciminiera della centrale a carbone si annuncia perentoria come un grande punto esclamativo. «Sì, qui abbiamo inquinato!»», sembra suggerire plasticamente questo 'comignolo' alto 200 metri che in quasi 60 anni di contestato servizio ha rovesciato sul 'Golfo dei Poeti' molte prosaiche tonnellate di C02. L’impianto è candidato da tempo al pensionamento. Ma l’iter per la messa a riposo segna il passo. Mentre la città ligure attende la chiusura come una boccata d’aria fresca e mette il veto a produzioni alternative se non 'pulite'. Quella di La Spezia è una delle centrali elettriche a carbone targate Enel da dismettere, insieme a quelle di Fusina (Venezia), Civitavecchia, Brindisi e Sulcis (Sardegna). In tutto danno lavoro a 900 persone (indotto escluso) alla quali è garantito il ricollocamento all’interno del gruppo. Lo stop al carbone in Italia è stato fissato al 2025 e il sito ligure doveva essere tra i primi a chiudere, entro il 2023.
Ma l’iter si è come inceppato. Così in un balletto di autorizzazioni difficili da incrociare e di resistenze popolari, il caso di La Spezia sta diventando l’emblema di una transizione energetica che procede al rallentatore. Il Piano nazionale energia e clima (Pniec) prevede nella transizione verso le fonti rinnovabili una fase di passaggio con la sostituzione in alcuni siti del carbone con il gas, per complessivi 3 GW di potenza. La città ligure dovrebbe ospitare uno di questi nuovi impianti a turbogas da 800 MW. «Il problema è che l’aumento della produzione da fonti rinnovabili è del tutto insufficiente – commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente –. Nel 2020 abbiamo avuto un incremento della produzione nazionale di 0,8 GW invece del 6-7 GW annui necessari per rispettare il Pniec e consentire lo stop al carbone nel 2025. Questo accade anche perché con una politica confusa si è scelto di puntare sul gas garantendo, attraverso il meccanismo del Capacity Market, generosi incentivi ventennali per la costruzione di nuove centrali. Una spinta a realizzare impianti a gas al posto del carbone, quando in Italia le centrali a gas sono già molte». In tutta Europa c’è il problema di gestire la transizione, aggiunge Zanchini. «In Germania ad esempio c’è un piano nazionale per investire nelle aree da riconvertire, assicurando risorse per le bonifiche, la rigenerazione dei territori e la formazione dei lavoratori. Mentre intanto si costruiscono le centrali a energia pulita. È la strada da seguire».
A La Spezia la nuova centrale a gas non la vogliono. Su proposta del sindaco Pierluigi Peracchinini (centrodestra) il Consiglio comunale ha votato a larghissima maggioranza una variante al piano urbanistico che esclude la costruzione nell’area di un impianto a energia termica. Pure il Consiglio regionale della Liguria si è espresso in assetto bipartisan per un no a una «nuova centrale a turbogas», posizione che vincola la Giunta nel concedere gli eventuali iter autorizzativi. Infine si sono mobilitati i parlamentari di tutti i partiti eletti nella zona, depositando alla Camera una risoluzione che impegna il governo a garantire la definitiva dismissione del sito Enel «con esclusione di una sua riconversione a gas o ad altro combustibile fossile». È un’unanimità che nasconde differenze e che alla resa dei conti potrebbe venir meno. Ma per ora resiste. Da queste parti la tradizionale protesta contro le opere vicine a casa, la sindrome Nimby ('Non nel mio cortile'), è tradotta in 'Abbiamo già dato'. In effetti la centrale intitolata ad Eugenio Montale con la sua ciminiera fumante a ridosso del centro urbano è in funzione dal 1962. Figlia di un’era in cui il Paese scommetteva sullo sviluppo industriale senza tanto preoccuparsi di salute e ambiente.
Il rapporto con la città si è guastato in fretta e già negli anni Novanta la centrale venne chiusa per un periodo, quando il Comune denunciò danni all’ambiente marino. Oggi La Spezia guarda al turismo, alla nautica, ai servizi, vorrebbe cancellare l’ingombrante cimelio dalla sua skyline urbana e destinare i 72 ettari della centrale ad altri usi, anche mantenendo una quota di produzione elettrica, purché pulita. Il finale di questo braccio di ferro resta da scrivere. Enel aveva presentato richiesta al Mise per la messa fuori servizio dell’unità a carbone spezzina dal 2021 ma le autorità di settore hanno dato parere negativo: per procedere alla chiusura servono nell’area nord del Paese 500 MW di produzione alternativa per garantire la sicurezza del sistema. Una centrale non si può spegnere con un semplice clic. In teoria il fabbisogno dovrebbe essere coperto a partire dal 2023 dalle nuove centrali a gas che la stessa Enel ha 'prenotato' partecipando appunto alle aste del Capacity Market indette da Terna. Ma il via libera del ministero per la Transizione ecologica, per l’ok alla costruzione, atteso a fine 2020, non è ancora arrivato. Così l’addio al carbone entro il 2023 è a rischio.
Sempre che a risolvere la questione non arrivi il mancato rinnovo dell’autorizzazione ambientale (Aia) a produrre, che è in scadenza a fine anno. In ogni caso restano da superare le opposizioni alla nuova centrale a gas, che produrrebbe comunque emissioni di CO2, benché ridotte. Il paradosso di questa transizione è che senza passare dal gas è più difficile lo stop al carbone. Ma che transizione ecologica sarebbe, dicono alla Spezia, quella che ti vincola per altri decenni a una fonte fossile? Enel per ora conferma (vedi intervista in pagina) il progetto di un impianto da 500 MW con un successivo upgrade a 800 MW, lasciando intendere che il secondo step potrebbe non rendersi necessario.
Una centrale da accendere solo per garantire i picchi della domanda, assicura la società dell’energia, ricordando che già oggi la produzione a carbone si è ridotta del 90% rispetto ai valori del passato. La proposta alla città è quella di un nuovo sito dove accanto all’impianto a gas ci sarebbero produzione fotovoltaica e batterie ma anche attività logistiche a servizio del porto e un progetto per l’idrogeno verde per usi industriali. Con il corollario di un concorso architettonico per rendere l’area più integrata con il territorio urbano. Anche la ciminiera, che oggi pare il biglietto da visita della città del passato, verrebbe abbattuta e sostituita con 'camini' meni impattanti. Basterà il pressing diplomatico dell’Enel e un eventuale downsizingdell’impianto a convincere popolazione ed enti locali? A La Spezia basterà una ciminiera 'dimezzata'?