Economia

L'analisi. Il dibattito surreale sul Green New Deal mentre l'ambiente non regge più

Leonardo Becchetti sabato 21 settembre 2024

Mentre il Nord del Paese è colpito da eventi climatici estremi (Marche e Romagna in primis dove le alluvioni sono state 2 in 16 mesi) assistiamo in Italia ad un dibattito surreale sulla difesa del motore a scoppio e sull’allentamento del Green New Deal che viene contrapposto agli interessi di cittadini e imprese. Proviamo a spiegare perché. Con un video di 49 secondi postato sui social, Ed Miliband, il segretario di Stato per la sicurezza energetica e l’obiettivo emissioni zero del governo inglese, spiega in modo semplice ed efficace i benefici della transizione energetica per i cittadini d’oltremanica. Camminando in una fattoria solare ammette che oggi impianti come quello sono controversi. Aggiunge però che sono essenziali se vogliamo liberarci dalla schiavitù delle fossili dove i prezzi sono decisi da altri e hanno causato le due più gravi ondate inflazionistiche degli ultimi 60 anni (petrolio alla fine degli anni ‘70, gas oggi). L’energia pulita, a basso prezzo, controllata da noi, aggiunge, ci assicura bollette meno care e costi dell’energia minori con più competitività ed occupazione per le nostre imprese. Un messaggio semplice ed efficace che ritroviamo con maggiore approfondimento analitico e dovizia di dati nel rapporto Draghi. Dove scopriamo che l’Unione Europea a causa della sua dipendenza energetica dalle fonti fossili ha un forte svantaggio competitivo in termini di costo dell’energia sia per i cittadini che per le imprese rispetto a Cina e Stati Uniti. Aggiungendo a questo che l’Italia è il paese dell’Ue che soffre di più di tale situazione avendo il grado più alto di dipendenza dal gas (40%) e un meccanismo di determinazione del prezzo dell’energia determinato più che altrove dal prezzo stesso del gas (al 90% dei casi). La conclusione del rapporto è che ciò non solo ha alimentato inflazione, reso più caro il carrello della spesa riducendo ricchezza ed aumentando povertà delle famiglie.

La dipendenza energetica è anche il fattore di fondo più importante, si sottolinea, che spiega la nostra recessione industriale con conseguenza su crescita ed occupazione. Queste verità semplici sembrano scomparire nella confusione del dibattito del nostro paese. Dove si vuole contrapporre ad arte per motivi ideologici transizione ecologica e interesse dei cittadini. E dove si agitano fantasmi per rallentare il cammino della transizione. Gli esempi più lampanti recenti sono quelli della contrapposizione tra paesaggio e rinnovabili in Sardegna e dei problemi che il divieto di produzione di motori a combustione dal 2035 arrecherebbe all’industria italiana dell’automotive. Quanto al primo problema, come già sottolineato su queste colonne, la questione non sussiste perché gli obiettivi di crescita di produzione di energia da rinnovabili sono perfettamente compatibili con interventi mirati su aree industriali dismesse e zone non edificabili, né utilizzabili come suolo agricolo o di particolare pregio paesaggistico. Per fortuna le regioni italiane sono 20 e proprio in questi giorni in Veneto si approva un piano strategico per aumentare di 6 Ggigawatt gli impianti da rinnovabili e in Sicilia si assiste a un boom di autorizzazioni. Le rinnovabili sono un’opportunità e non una minaccia per popolazioni e territori se opportunamente gestite. Sul tema dell’auto gli allarmi si susseguono agitando la minaccia del collasso di interi settori industriali. Peccato che l’indotto dell’automotive italiano nel 2023, nonostante la recessione tedesca e la transizione ecologica, è in buona salute avendo fatto segnare una crescita del 9 e 7 percento rispettivamente di esportazioni e fatturato. Intanto in Cina nell’ultimo mese la metà delle nuove immatricolazioni sono state auto elettriche o plug-in. Per un motivo molto semplice. Il trend di forte calo dei prezzi delle batterie ha fatto sì che per la prima volta le auto elettriche siano diventate meno care di quelle col motore a combustione. Non possiamo usufruire di questo vantaggio acquistando auto cinesi per via dei dazi ma si prevede che questo accadrà nel giro di uno-due anni anche in Europa. Senza considerare che il costo di un’automobile dipende non solo dal prezzo d’acquisto ma anche dal costo d’uso (con ulteriori vantaggi per l’auto elettrica che ha costi sensibilmente inferiori di rifornimento). Di questo passo è evidente che il bando della produzione di auto con motore a combustione nel 2035 (dieci anni dopo il sorpasso di prezzo) è un non problema perché il gap sarà aumentato e nessun consumatore vorrà pagare di più per comprare quel tipo di auto (tra qualche anno si produrranno solo auto full electric, plug in o al massimo ibride).

Pensiamo di fare un favore alla nostra industria automobilistica proteggendo e cristallizzando il mondo del passato o non rischiamo forse di rallentare ancor più investimenti, innovazione e capacità di agganciare il treno del futuro? Indulgere e speculare sulle paure del nuovo e non concentrarsi su mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico non è soltanto miope e diseducativo ma anche profondamente dannoso proprio per coloro che vorremo far credere di proteggere.