È stato il tema rovente della negoziazione pre e post referendum. Nell’accordo raggiunto con l’Eurosummit più lungo della storia comunitaria, la questione è rimasta apparentemente - e volutamente, proprio per non far emergere spaccature palesi -, sullo sfondo. Ma anche ieri, quando l’attenzione generale era concentrata sul Parlamento di Atene e sul varo delle prime misure promesse, è risultato chiarissimo che la soluzione alla crisi ellenica si gioca (quasi) esclusivamente sullo scioglimento di un nodo: l’enorme debito pubblico. Il passivo da 312 miliardi di euro (che le ultime stime ipotizzano possa essere lievitato a quota 340) ha creato una divisione netta anche sul fronte interno dei creditori. Ora è scontro aperto. Questa montagna di denaro che la Grecia deve restituire è sostenibile o no? E il debito va tagliato o semplicemente dilazionato nel tempo senza concedere nessun ulteriore sconto?A queste due domande il Fondo monetario internazionale e la Commissione europea rispondono in maniera diametralmente opposta. L’istituto statunitense ha espresso in modo inequivocabile la sua posizione. Ed è arrivato a minacciare - nel caso in cui non dovesse essere accolta la sua richiesta - il "no" al terzo piano di salvataggio. «Il debito della Grecia può diventare sostenibile solo con un taglio che va ben al di là di quanto concordato finora con l’Eurogruppo», si legge in un rapporto dell’organizzazione Usa. Per gli esperti dell’istituzione guidata da Christine Lagarde, l’indebitamento dello Stato ellenico rischia di salire nel 2018 a poco meno del 200% del Pil (dall’attuale 177%). E nel suo ultimo dossier sulla Grecia, tra gli interventi necessari il Fmi segnalava «un profondo riscadenzamento» dei rimborsi su base trentennale e sull’intero passivo, oltre all’esenzione dal pagamento dei tassi di interesse. Sulle stesse posizioni del Fondo, si è schierato il premier britannico David Cameron: «L’alleggerimento del debito è giusto. È nell’interesse del Regno Unito che l’Eurozona decida in tal senso».Peccato, tuttavia, che i Paesi dell’Eurogruppo - con la Germania in prima fila - si siano dichiarati profondamente contrari all’
haircut (letteralmente "taglio di capelli", ma in questo caso espressione utilizzata per indicare l’alleggerimento della somma che Atene deve ai creditori). Il concetto è stato ribadito ieri con ancora più forza. La Commissione Ue, infatti, in un comunicato ha risposto indirettamente al Fmi. Anzitutto, per Bruxelles, le stime sono molto diverse da quelle di Washington: «Il debito sarà al 165% del Pil nel 2020 e al 150% del Pil nel 2022, se Atene avrà preso le giuste misure per ridurlo, ma potrebbe raggiungere rispettivamente il 187% e il 176% in caso di scenario avverso». Ma è sul "come" affrontare il passivo, che emergono le principali divergenze: «Il taglio non è possibile, piuttosto un riscadenzamento se le autorità greche attuano le riforme richieste». Anche se il vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha ammesso che ci sono «serie preoccupazioni» sulla sostenibilità del debito. Mentre il premier francese, Manuel Valls ha confermato: «Ci sarà un allungamento delle scadenze».Il tema della ristrutturazione, comunque, da mesi è studiato anche da tanti economisti di fama mondiale. Una tesi originale e interessante è quella sostenuta da Paul De Grauwe, professore di Economia politica europea alla London School. Il docente belga ha appena pubblicato un’analisi in cui si dice convinto che «la Grecia sia solvibile». «Con la ristrutturazione del 2012, che costrinse i detentori privati del debito ad accettare profondi tagli, il peso degli interessi del passivo ellenico si è abbassato», spiega De Grauwe. Secondo i calcoli dell’economista, dunque, «il peso effettivo del debito greco attualmente risulterebbe più basso di quello di molti Paesi periferici dell’Eurozona». Conclusione del ragionamento: «Il debito sarà solvibile se ad Atene verrà data l’opportunità di limitarsi a un pareggio di bilancio, che le consentirebbe di ottenere una crescita annua del Pil del 2%».