Economia

Il dato. L'inflazione cala, i redditi recuperano. Il 2024 delle famiglia inizia bene

Pietro Saccò venerdì 5 gennaio 2024

Una coppia fa acquisti in un mercato rionale

Lo stato di salute economica delle famiglie italiane all’inizio di questo 2024 pare migliore di quanto si potesse pensare. Passata l’ondata di inflazione, il potere d’acquisto inizia a risalire e aumenta il tasso di risparmio, mentre la domanda di personale da parte delle imprese resta abbondante. I segnali positivi sono molti, al di là degli allarmi più o meno realistici sui rincari in arrivo lanciati nei giorni scorsi dalle associazioni dei consumatori.

La prima notizia positiva è la discesa dell’inflazione. L’aumento dell’indice annuo dei prezzi al consumo che un anno fa sfiorava il 12% continua a scendere. A dicembre, secondo le prime stime dell’Istat, è calato dallo 0,7% allo 0,6%, il livello più basso da febbraio 2021. Calcolata secondo i parametri europei, che prevedono un paniere di beni leggermente diverso, l’inflazione italiana è allo 0,5%. Cioè molto al di sotto del 2,9% medio della zona euro. L’Italia è assieme al Belgio il Paese con il più basso tasso di inflazione tra i venti che adottano l’euro. Il calo di dicembre è anche in controtendenza rispetto al dato medio europeo, in aumento, e a quello delle altre grandi economie della zona euro: in Francia l’inflazione è salita dal 3,9% al 4,1%, in Germania è balzata dal 2,3% al 3,8%.

L’inflazione è scesa perché le cause dell’impennata tra il 2022 e il 2023 si sono esaurite. La prima era la corsa dei prezzi dell’energia, in particolare del gas naturale. L’Europa è riuscita a riorganizzare le forniture, comprando più gas liquefatto, soprattutto dagli Stati Uniti, e le quotazioni sono tornate a livelli sostenibili: siamo attorno ai 35 euro per Mwh, un po’ sopra le medie di prima del 2021 ma lontanissimi dai picchi sopra i 200 euro dell’estate del 2022. La spesa per “abitazione, acqua, elettricità e combustibili”, che si prende circa il 12% del budget famigliare medio, nel’ultimo anno in Italia è scesa del 20%. L’altra causa dell’impennata dell’inflazione, i colli di bottiglia lungo la catena di fornitura globale, si è risolta con il tempo, quando la produzione delle aziende è tornata più in equilibrio con la domanda dei consumatori. Il “carrello della spesa”, che include alimentari, saponi e detersivi, frena meno dell’indice generale: a dicembre segna +5,3%.

Volendo fare un primo bilancio, l’ondata di inflazione ha lasciato in Italia prezzi mediamente superiori del 13% rispetto alla fine del 2021. Se si allunga lo sguardo al 2015, attuale anno di riferimento per l’indice europeo dei prezzi al consumo, i prezzi italiani sono aumentati del 21,5%, un po’ sotto l’aumento medio della zona euro (23,9%).

I redditi non hanno tenuto il passo dei prezzi e il potere d’acquisto delle famiglie, che mette in rapporto quello che si guadagna e i costi di ciò che si può comprare, è diminuito. Però è iniziato il recupero. Nel terzo trimestre dell’anno, calcola ancora l’Istat, c’è stato un aumento del potere d’acquisto dell’1,3% rispetto ai tre mesi precedenti. Nel confronto con un anno fa c’è ancora un calo, dello 0,6%, ma questa contrazione si sta via via riducendo (aveva raggiunto il 4,4% a fine 2022). Non è esagerato ottimismo aspettarsi che questa contrazione si sia esaurita nell’ultimo trimestre dell’anno, dopo sei trimestri consecutivi di diminuzione. Allo stesso tempo risale anche la propensione al risparmio, cioè la quota di reddito che gli italiani mettono da parte. Nel terzo trimestre è salita dal 6,3% al 6,9%, riavvicinandosi gradualmente a quell’8% che era il livello “normale” di prima della pandemia.

Insomma, non c’è da entusiasmarsi troppo, ma la situazione economica delle famiglie è buona. E il lavoro non manca, nonostante la frenata del Pil. Il numero degli italiani occupati, 23,7 milioni di persone, è ai massimi storici, il tasso di disoccupazione al 7,8% resta contenuto e le imprese continuano a cercare manodopera. Precisamente, secondo i dati del Bollettino del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere, le imprese cercano a gennaio 508mila lavoratori e continuano a faticare a trovarli. Servono nuovi ingressi soprattutto nei settori del servizio alla persona (70mila), commercio (68mila) e costruzione (51mila). La difficoltà di reperimento è salita al 49,2%: sostanzialmente un lavore su due è introvabile. Un problema che non si risolve solo con l’aumento degli stipendi per rendere il posto di lavoro più attrattivo: in un caso su tre non ci sono proprio i candidati e per il 14,3% dei posti vacanti non ci sono abbastanza persone con la giusta preparazione.

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