Tasse. Il Brasile avrà l'Iva più alta del mondo
Il presidente brasiliano Lula lascia l'ospedale dov'è stato ricoverato per un'emorragia cerebrale
L'Ungheria di Viktor Orban, non nuova a primati negativi (un esempio: unico governo in Europa senza nemmeno un ministro donna), ne sta per perdere uno: tra qualche settimana non sarà più il Paese con l’Iva più alta al mondo. Verrà superata dal Brasile di Lula, in un curioso passaggio di testimone tra uno dei Paesi più conservatori d’Europa e uno che invece prova ancora ad essere un baluardo delle politiche socialdemocratiche, in tempi di austerità.
Però il presidente brasiliano, operato d’urgenza la settimana scorsa per un’emorragia cerebrale e già dimesso, non ha una maggioranza solida in Parlamento e quindi deve scendere a patti con i centristi e fare i conti, letteralmente, con i vincoli di bilancio. Il suo ministro dell’Economia, Fernando Haddad, è un campione del rigore e non a caso gode del gradimento di appena il 27% della popolazione secondo Datafolha: nelle ultime settimane ha partorito una manovra finanziaria che prevede sì la famosa tassa sui patrimoni milionari (che il Brasile, presidente di turno del G20, ha tenuto a far firmare nel vertice di Rio de Janeiro a novembre), ma anche tagli alla spesa pubblica e una maxi riforma del sistema tributario, che viene semplificato a discapito però delle entrate a favore dello Stato. Haddad peraltro ha alzato la no tax area ai redditi fino a 5.000 reais netti al mese, che equivalgono a meno di mille euro ma che in Brasile rappresentano un salario ben sopra la media, essendo quello minimo fissato sui 1.300 reais.
Per compensare queste misure, il Senato ha da poco approvato un aumento progressivo dell’imposta sul valore aggiunto dal 26,5% al 28,5% da qui al 2032, superando quindi l’Ungheria che applica il 27%. Questo rialzo costa al Paese sudamericano il primato mondiale: in Italia l’Iva è al 22%, la media Ocse è del 19,2% e tutti gli altri Paesi dell’area latinoamericana sono al di sotto di quella soglia. Soprattutto, la ricetta del tandem Lula-Haddad impatterà significativamente sul potere d’acquisto dei cittadini, in particolare di quelli dei ceti più bassi: per quanto possa sembrare un paradosso per un governo di orientamento socialista, secondo l’economista Gabriel Santana Vieira «questa misura potrebbe peggiorare la disuguaglianza sociale, ampliando il divario tra ricchi e poveri».
La strada che porta alla Banca centrale brasiliana, a Brasilia - Reuters
Anche perché, come voleva fare in Italia qualche governo con la Sugar Tax, in Brasile è stata istituita l’Imposta Selettiva, detta anche “imposta sul peccato”, una tassa aggiuntiva sui prodotti considerati nocivi per la salute come bevande zuccherate e sigarette. Non per niente già per quest’anno il Copom (Comitê de Política Monetária) ha rivisto le previsioni sull’inflazione dal 4,6% al 4,9%, mentre nel 2025 si dovrebbe salire dal 3,9% inizialmente stimato al 4,5%. Ciò ha costretto la Banca centrale, che persegue l’obiettivo dell’inflazione al 3%, ad aumentare di nuovo i tassi d’interesse, portandoli dall’11,25% al 12,25%, un dato altissimo e che tra gennaio e marzo potrebbe ulteriormente essere rialzato al 14,25%, secondo lo scenario ipotizzato dello stesso istituto finanziario.
I mercati non stanno gradendo: rispetto ai massimi dell’anno toccati a fine agosto, l’indice di Borsa Bovespa di San Paolo è in piena fase ribassista e soprattutto il cambio nominale col dollaro proprio ieri mattina ha raggiunto il record storico a 6,2 reais, e anche quello in termini reali non era così alto dai tempi della pandemia. Insomma il provvedimento sta innescando un effetto domino negativo sulla prima economia del Sudamerica, che però quest’anno crescerà meno di quella del Paraguay, stimata dal Fondo Monetario Internazionale al 3,8%, contro il 3,4% dei lusofoni. Tra l’altro il Brasile si è fatto superare dai vicini anche nel rating delle tre agenzie principali, Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch. «L’aumento potrebbe scoraggiare consumi e investimenti – fa ancora notare Santana Vieira -, con conseguenze negative per l’economia nel suo complesso».