Economia

Istat. L'inflazione si mangia i salari: potere d'acquisto in calo del 5%

Cinzia Arena venerdì 27 ottobre 2023

Per i vigili del fuoco aumenti dell'11,3% della paga oraria

Stipendi sempre più leggeri a fronte di un’inflazione che negli ultimi due anni non ha concesso tregua, mentre i rinnovi dei contratti nazionali procedono al rallentatore. Per il 68% dei lavoratori l’aumento delle retribuzioni è una questione prioritaria e non rimandabile. A confermarlo l’indagine promossa da Cgil e Fondazione Di Vittorio su “Condizioni e aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori”. Un italiano su cinque guadagna meno di 20mila euro netti l’anno (percentuale che sale al 53% per le donne) ma c’è anche un 8,8% di lavoratori che non raggiunge la soglia dei 10mila euro. Soltanto il 15% ha un introito netto superiore ai 30mila euro.

Il gap tra il costo della vita e il livello delle retribuzioni negli ultimi anni si è ampliato, facendo scivolare sotto la soglia della povertà precari, autornomi e lavoratori part-time. Nella nota trimestrale su contratti collettivi e retribuzioni, relativa al periodo luglio-settembre, l’Istat parla di uno “spread” di 5 punti percentuali. «Nonostante la decelerazione dell’inflazione nei primi nove mesi dell’anno la distanza tra la dinamica dei prezzi, vale a dire l’indice Ipca, e quella delle retribuzioni contrattuali supera ancora i cinque punti percentuali» spiega l’istituto di statistica. A pesare in maniera negativa è anche la lentezza con la quale procedono i rinnovi contrattuali. Un rinvio di anni infatti comporta in genere una perdita di reddito che viene recuperata solo in parte.

La situazione, anche per effetto collaterale dei due anni di pandemia, non è delle più rosse. I contratti in attesa di rinnovo - in base ai dati aggiornati al 30 settembre - sono 31 e coinvolgono circa 6,7 milioni di dipendenti, il 54% del totale con alcuni casi limite come quello dei giornalisti che attendono il rinnovo dal 2013. In vigore per la parte economica 42 contratti collettivi nazionali, che riguardano il 46% dei dipendenti - circa 5,7 milioni - e corrispondono al 45,2% del monte retributivo complessivo.

Qualcosa in realtà nell’ultimo periodo si è mosso, con un adeguamento delle retribuzioni che ha però un andamento a macchia di leopardo ed esclude Nei primi nove mesi del 2023, la retribuzione oraria media è cresciuta del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2022. L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie, a settembre 2023, è stabile rispetto al mese precedente e aumenta del 3% rispetto a settembre 2022. L’aumento tendenziale è stato del 4,5% per i dipendenti dell’industria, dell’1,6% per quelli dei servizi privati e del 3,3% per i lavoratori della pubblica amministrazione.

Vigili del fuoco con un ottimo 11,3%, metalmeccanici con il 6,2% e dipendenti della sanità pubblica con il 5,9% sono le categorie che hanno ottenuto gli aumenti più sostanziosi. Farmacie, pubblici esercivi e alberghi fanno segnare una crescita zero delle retribuzioni. Il settore dei servizi privati è quello che mostra i maggiori segni di sofferenza con appena il 25,6% dei lavoratori con un contratto non scaduto, bene l’industria con il 97% dei rinnovi effettuato. Il tempo medio di attesa per i lavoratori con contratto scaduto è diminuito in un anno dai 33,9 mesi ai 29,1 mentre per il totale dei dipendenti è passato da 17,2 a 15,2 mesi. Gli unici contratti rinnovati nel terzo trimestre del 2023 sono stati quelli delle società e consorzi autostradali e di pelli e cuoio.

Tutti scaduti i 24 contratti del pubblico impiego, che coinvolgono 2,8 milioni di lavoratori. Il governo ha stanziato 7 miliardi per i rinnovi da qui al 2025 e ipotizza aumenti medi di 170 euro lordi al mese con un incremento medio vicino al 6%. Nelle buste paga dei dipendenti pubblici a dicembre arriverà una cifra una tantum che varierà tra i 600 e i 1.900 euro, a seconda della qualifica.