30 anni di consumo critico. Hanno ancora senso i gruppi di acquisto solidale?
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Per fare la spesa un italiano su dieci partecipa ai gruppi di acquisto solidale, più comunemente chiamati Gas. In totale sono sei milioni di persone coinvolte in questi percorsi di sostenibilità che avvicinano il produttore al consumatore. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS) si stima che, attualmente in Italia, esistano almeno il doppio dei 1.000 Gas censiti.
Dei primi 30 anni dei Gas si parlerà domenica 20 ottobre a Festivalori, festival dedicato alla finanza etica. Intervengono fra gli altri Francesca Franchi del Gas di Fidenza, Mauro Lusetti, presidente di Conad Italia e Irene Ghaleb di Fondazione Finanza Etica.
Fondati nel 1994 in Emilia-Romagna, con una premessa diversa rispetto a tutti i gruppi d’acquisto già esistenti: la necessità di costruire una relazione basata sulla fiducia tra chi acquista e chi compra. Dunque, una via critica al consumo per sovvertire quello che era il modello di sviluppo tradizionale che stava distruggendo tanto l’ambiente quanto le persone. Dai produttori locali individuati, si iniziò acquistare in modo diretto prodotti biologici allora poco accessibili e costoso, sfruttando le economie di scala e senza passare per la distribuzione. Prima la frutta e la verdura, poi i formaggi e, via via, sempre più prodotti.
Le domande, a cui trent’anni fa, quel primissimo gruppo d’acquisto solidale aveva cercato risposte suonano attuali ancora oggi: “Come declinare a livello individuale le istanze collettive di pacifismo, non violenza e ambientalismo?” “Come mettere in discussione materialmente, in piccolo, l’idea del profitto a tutti i costi e perseguire uno stile di vita sobrio e orientato a evitare gli sprechi?”
Sostituite da parole oggi più trendy, come cittadinanza attiva e sostenibilità, quegli interrogativi e quei dubbi potrebbero essere ancora legittimi e validi per alcuni, almeno per chi crede a un’idea di economia civile e circolare. Con una netta prevalenza al Nord e pochi nodi al Sud, la distribuzione geografica dei Gas è molto disomogenea. Su questo punto va precisato che, soprattutto nel Meridione e nelle aree rurali, ancora oggi frutta e verdura possono essere recuperate senza affidarsi come opzione primaria ai supermercati e al tempo stesso, in quelle stesse aree del Paese, le maggiori difficoltà economiche e l’alto tasso di disoccupazione lasciano meno spazio a scelte di impegno civico e consumo critico.
Al di là delle disomogeneità territoriali, in questi 30 anni, si può dire che i Gas siano diventati una pratica d’acquisto consolidata: circa sei milioni di persone hanno trasformato l’esperimento di una comunità di amici in un canale d’acquisto pari alla piccola, media e grande distribuzione. E in alcuni casi, si sono evoluti, dando vita a ulteriori sperimentazioni: come le Community Supported Agriculture, esperienze di agricoltura sostenuta dalla comunità, basate sulla relazione tra chi coltiva e chi consuma. In alcuni casi sono le stesse persone che coltivano insieme e poi dividono i frutti. A volte, invece, è una comunità a scegliere di sostenere un produttore, condividendo le spese e ritirando la propria cassetta di prodotti settimanale. Altra esperienza rilevante sono le Food Coop, piccoli supermercati autogestiti dai soci, che mettono a disposizione parte del proprio tempo e delle proprie competenze nella gestione.
Se trent’anni fa quando nacquero il problema dei Gas era il modello di sviluppo tradizionale, oggi la sfida è la perdita del senso di comunità. Con la diffusione di abitudini di consumo più attente, viene meno la funzione primaria dei gruppi d’acquisto solidale: procurare cibo di qualità, etico e a un prezzo accessibile. Oggi in molti casi si acquista meglio, ma lo si fa da soli. La relazione è tra un consumatore e lo scaffale di un supermercato o un’App di delivery. Spesso, tra chi acquista e un’azienda produttrice.
«Invece, fare parte di un Gas – ha spiegato Francesca Franchi, del Gas Fidenza-Salso, tra i primissimi nati in Italia – è una scelta che va oltre il desiderio di acquistare cibo sano e sostenibile, che rappresenta solo un aspetto, per quanto importante, della partecipazione attiva a un gruppo di acquisto solidale. La parola chiave è proprio “Solidale”, che va declinata e intesa nel modo più ampio possibile, per la costruzione di un forte legame di fiducia e conoscenza tra produttori e soci del Gas e tra i soci stessi. Si tratta di un’alleanza che ci porta a creare ben-essere per il territorio, nell’ottica di un modello economico basato sul senso di co-responsabilità e interdipendenza. Ognuno dà quel che può, chi solo acquistando tramite il Gas, chi gestendo un ordine, chi occupandosi dei turni di distribuzione, chi lavorando più sull’aspetto ideale e di visione».