Economia

Sostenibilità. Il piano di Google: «Dal 2030 useremo solo energia verde»

Pietro Saccò sabato 26 settembre 2020

Matt Brittin, presidente di Google Emea

La neutralità carbonica, traguardo futuro delle strategie ambientali di quasi tutti gli Stati del mondo, per Google è un obiettivo archiviato da tempo. L’azienda ha centrato già nel 2007 l’equilibrio tra emissioni e assorbimento di carbonio in atmosfera. Nel 2017, Google è stata la prima, tra le maggiori aziende del mondo, a rifornirsi di energia rinnovabile per il 100% dei suoi consumi. Il 14 settembre il ceo del gruppo, Sundar Pichai, ha annunciato un nuovo traguardo raggiunto – l’azzeramento “storico” delle emissioni prodotte da Google dalla sua nascita fino al 2007 – e un obiettivo ancora più ambizioso: fare funzionare l’intera infrastruttura dell’azienda con energia 'carbon free', 24 ore su 24, entro il 2030. «Tecnicamente sarà difficile» ammette Matt Brit- tin, presidente delle attività europee di Google.

L’attività di un motore di ricerca non è qualcosa che si può “spegnere” se il vento cala e le pale eoliche si fermano. Come farete ad affidarvi completamente alle energie rinnovabili?

In Google abbiamo questo metodo: ci diamo obiettivi ambiziosi e lavoriamo con determinazione per raggiungerli. Usare esclusivamente energia rinnovabile in ogni nostra attività in tutti i Paesi del mondo sarà tecnicamente difficile, ma da tempo abbiamo imboccato questo percorso. Siamo già il più grande acquirente di energia rinnovabile al mondo, abbiamo fatto massicci investimenti su campi eolici e solari per i nostri data center. Ora ci concentriamo su questo nuovo obiettivo.

Quanto dovrete investirci?

Non abbiamo cifre precise. Sicuramente l’innovazione tec- nologica contribuirà a ridurre i costi, ma la spesa è solo una parte di questo progetto. Nel programma di sostenibilità ambientale per i prossimi anni vogliamo anche realizzare una capacità elettrica di 5 gigawatt di energia “carbon free” per le grandi aree industriali, sempre entro il 2030.

L’impegno sull’ambiente è notevole. La sostenibilità ha però anche aspetti sociali. Google controlla YouTube, uno dei social su cui circolano disinformazione e discorsi d’odio. Che progressi possiamo aspettarci su questi fronti?

Google dipende molto dall’informazione di qualità. Le ricerche sul nostro motore sono spesso il punto di partenza per informarsi. Con Google News abbiamo creato un sistema che indirizza gli utenti verso fonti di giornalismo credibili. Il problema della disinformazione c’è ed è legato ai social media. Nei mesi dell’emergenza per il coronavirus sono circolati sui YouTube video che collegavano il 5G al virus. Una teoria senza senso diventata molto popolare. Abbiamo migliorato la nostra policy per rimuovere contenuti di questo tipo il più rapidamente possibile. Non è semplice, perché è facile individuare e rimuovere un contenuto pornografico mentre con la disinformazione e i discorsi d’odio è più difficile. Stiamo facendo progressi significativi combinando controlli umani e l’uso dell’intelligenza artificiale: oggi la grande maggioranza dei contenuti impropri viene rimossa prima che qualcuno la veda.

Google è anche sotto accusa perché in Europa paga poche tasse rispetto all’enorme quantità di ricavi che incassa. Pensate sia possibile arrivare a un accordo a Bruxelles?

Paghiamo molte tasse. Sui nostri utili a livello globale la nostra “tax rate” è al 20%, più o meno in linea con la media della tassazione dei Paesi in cui operiamo. Sappiamo che non c’è accordo internazionale su come tassare attività come la nostra e su questo c’è un discorso aperto all’Ocse. Crediamo che un accordo internazionale in quella sede sia la soluzione migliore rispetto a web tax diverse nei singoli Stati.

In Italia quest’estate avete annunciato il lancio della “Google Cloud Region”. Che cosa porterà davvero nella vita degli italiani?

L’obiettivo è quello di offrire alle piccole e medie imprese italiane servizi in cloud estremamente potenti che prima erano riservati alle grandi aziende. La Cloud Region, che realizziamo con Tim, è l’infrastruttura che ci permetterà di farlo. Parallelamente, con “Italia in digitale” stiamo investendo 900 milioni di dollari sulla digitalizzazione delle imprese italiane e sulla formazione dei giovani: come è emerso chiaramente dai piani della Commissione europea il digitale avrà un ruolo centrale nella ripresa dell’economia dopo la pandemia.