Economia

FABBRICHE. Gli operai di Termini: «Ora siamo meno soli»

Alessandra Turrisi martedì 2 febbraio 2010
«Stavo pranzando con la mia famiglia quando ho sentito il Papa al Tg3. Ho fatto un balzo sulla sedia, mi si è bloccato il boccone in gola». Roberto Mastrosimone è il rappresentante sindacale della Fiom-Cgil di Termini Imerese e si dichiara non cattolico, ma quelle parole di Benedetto XVI durante l’Angelus di domenica scorsa hanno fatto breccia. «Per avere preso questa iniziativa, il Papa ha la percezione che qui la situazione è davvero drammatica» racconta colui che è ormai uno dei leader della protesta delle tute blu della Fiat siciliana contro la decisione del Lingotto di sospendere la produzione di auto a Termini dal 2012. Ha appena incontrato i suoi colleghi dello stabilimento tornati al lavoro ieri, nella prima delle assemblee organizzate per comunicare l’esito dell’incontro di venerdì tra azienda, governo e sindacati. È il primo giorno in fabbrica, dopo che l’azienda nei giorni scorsi aveva sospeso la produzione a causa delle proteste che avevano bloccato l’ingresso delle merci nello stabilimento e aveva anche denunciato i dipendenti. La sezione lavoro del tribunale di Termini, però, ha rigettato la richiesta di perseguire gli operai: non ci sarebbero i presupposti. La sentenza è lì, nero su bianco, affissa all’ingresso dello stabilimento.C’è un clima di disorientamento, di sfiducia alla catena di montaggio. Alle 5,30 arrivano gli operai del primo turno infagottati per difendersi dal freddo della notte. Varcano il cancello dello stabilimento ancora una volta, vedono viali, insegne, capannoni diventati luoghi familiari. Entrano tir carichi di fiancate grezze da assemblare, escono autoarticolati carichi di Lancia Y fiammanti. Pochi mesi e nulla sarà più lo stesso. Le parole del Papa, però, quell’appello al «senso di responsabilità da parte di tutti», quella necessità di assicurare «un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie», hanno fatto rispuntare il sorriso su quei volti induriti dalla paura del futuro. «Stavo guardando la tv a mezzogiorno e un quarto – ricorda Gaspare Morello, operaio di 46 anni – quando sullo schermo è cominciata a scorrere un’agenzia che riportava le parole del Papa. Ho chiamato mia moglie. «Guarda», le ho detto, mentre venivamo presi da una sensazione strana, di benessere. Vorremmo che il Papa venisse a trovarci in fabbrica in occasione della sua visita in Sicilia a ottobre». È l’invito a un amico, perché è così che lo considerano, perché è di questo che gli oltre duemila operai della Fiat di Termini Imerese e delle aziende dell’indotto sentono terribilmente bisogno. «Il Papa ha dimostrato una sensibilità che altri non hanno avuto. Tutti qui si sentono soli, abbandonati» afferma commosso don Francesco Anfuso, 71 anni, venti dei quali trascorsi da arciprete di Termini, diventato punto di riferimento delle famiglie delle tute blu.Sono passate da poco le 10, quando, ieri, in chiesa madre si presenta Tommaso La Bua, uno dei 18 dipendenti della Delivery Mail (azienda dell’indotto) che per dieci giorni e dieci notti si sono asserragliati sul tetto dello stabilimento chiedendo la revoca del licenziamento. Don Anfuso è andato a trovarli varie volte, ha convinto i vigilantes a farlo passare, ha pianto davanti al figlioletto di La Bua che sporgeva le labbra attraverso le sbarre per baciare il suo papà. «La Bua, con gli occhi pieni di commozione, mi ha detto: "Ora mi sento meno solo" – spiega l’arciprete –. Il Papa ha mostrato vera attenzione per le famiglie e loro hanno bisogno di questo. Le parole di Benedetto XVI serviranno a dare nuove motivazioni ai politici per agire». E sull’ipotesi di nuove cordate di imprenditori interessate a soppiantare l’insediamento Fiat, mostra ottimismo: «Ben vengano nuove proposte. La Fiat ha fatto sentire questa città sedotta e abbandonata. Non lo dico io, lo dice la gente».Meno convinti i sindacati. «Dall’incontro del 5 febbraio non ci aspettiamo niente di buono – sottolinea Vincenzo Comella, segretario provinciale della Uilm –. Non ci convincono le proposte alternative che servirebbero solo a sollevare la Fiat dalle sue responsabilità». L’intervento del Papa, però, «ci ha inorgoglito. Il 31 dicembre avevamo inviato un messaggio mail in Vaticano e alla Presidenza della Repubblica affinché si ricordasse la nostra situazione. Siamo stati esauditi. Non si può dire che ci sia stata la stessa attenzione da parte del premier». Per il sindaco di Termini, Salvatore Burrafato, «è incredibile che i vertici Fiat non si sentano in dovere non dico di dare una risposta al Papa, ma di argomentare la loro decisione».Di «segno che quello di Termini non è un problema locale, ma nazionale e internazionale» parla il presidente dell’Area di sviluppo industriale di Palermo, Alessandro Albanese. «Io, da industriale, dico che, però, non dobbiamo solo percorrere la strada del riutilizzo dell’impianto Fiat. Dobbiamo dare altra linfa al territorio. Per questo servono leggi di sburocratizzazione. Probabilmente, se Fiat sta andando via, è anche perché, quando nel 2007 avrebbe voluto espandersi, non ha avuto certezze sulle autorizzazioni. Oggi abbiamo quattro imprese da 100-200 dipendenti l’una, nel settore della trasformazione energetica e agricola, pronte a investire a Termini. Su proposta di Asi, Confindustria e Comune di Termini, è stato presentato al Parlamento siciliano un disegno di legge che consenta a chi vuole investire di avere area e autorizzazioni entro 25 giorni. È questa la nostra scommessa».