Acqua. Dare da bere al Kenya
L’acqua è vita. Il ciclo idrico rappresenta un elemento indispensabile per tutte le società umane, da cui dipendono salute e sopravvivenza. Ma il riscaldamento della superficie terrestre causato dall’aumento dei gas (che incrementano l’effetto serra naturale), il cambiamento climatico, la sempre maggiore diffusione di pratiche per modificare l’uso dei suoli e i letti dei fiumi, nonché la crescita indiscriminata dell’irrigazione e di altri consumi idrici (si calcola che oltre il 25% dei bacini fluviali nel mondo si prosciughi prima di raggiungere gli oceani), stanno determinando un’emergenza per l’intero pianeta. E il quadro diventa ancora più allarmante se si considerano la piaga della siccità che colpisce gran parte del Sud del mondo e la continua scomparsa degli habitat acquatici anche a causa dell’inquinamento del mare e delle falde acquifere. Per questo il n. 6 tra i 17 “Obiettivi per lo sviluppo sostenibile posti dall’Onu” nell’Agenda 2030, è quello di «garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie». Bisogna far fronte al declino della biodiversità e al degrado de- gli ecosistemi, impedire il forte ridimensionamento se non addirittura l’estinzione di foreste tropicali, zone umide e di bacini lacustri e fluviali. Perché in pericolo c’è innanzitutto la salute (anche per le conseguenze dovute alla mancanza di igiene) e la stessa vita dell’uomo. È un fatto che quasi 5,6 miliardi di persone vivono in aree che si trovano a livelli elevati di rischio per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico e per lo stato di salute della biodiversità degli ambienti di acque dolci. Secondo un Rapporto elaborato di recente dalle Nazioni Unite, «con una popolazione mondiale ormai attestata a oltre 6 miliardi, alcuni Paesi hanno già toccato i limiti delle proprie risorse idriche». Il suddetto Rapporto prevede che, a causa del cambiamento climatico, entro il 2030, quasi la metà degli abitanti del globo vivrà in aree ad alto stress idrico, tra cui l’Africa che conterà tra 75 e 250 milioni di persone sottoposte a tale pressione. Inoltre, la scarsità d’acqua in alcune zone aride e semiaride provocherà lo spostamento di un numero di persone comprese fra 24 e 700 milioni.
Strade di terra rossa corrono in mille direzioni, ai loro margini donne e bambini, in mano e in testa contenitori di ogni forma e colore con l’acqua raccolta dopo un lungo cammino. È la fotografia di tanti pezzi d’Africa, l’Africa rurale soprattutto, quella che al passo ancora non ci sta, quella in cui acqua pulita e condizioni igieniche adeguate sono ancora un bisogno primario e un diritto umano non soddisfatto. Nella piccola comunità keniana di Mutito, nella contea di Kitui, a est della capitale Nairobi, qualcosa sta cambiando. Un piccolo progetto, una piccolo successo, qualcosa che dice, però, che anche attraverso piccoli passi si possono raggiungere grandi traguardi. Da anni in questa zona, come in altre regioni del Kenya, è attiva l’Ong Amref, impegnata per migliorare l’accesso all’acqua potabile con il “Progetto acqua uwu”. Dal 2012, dalle montagne circostanti Mutito, grazie a delle condutture l’acqua viene canalizzata verso la città da una sorgente distante sei chilometri. L’acqua viene raccolta in un enorme serbatoio e da lì, con una rete di distribuzione lunga più di 7 chilometri, convogliata per gravità verso quattro chioschi. Qui l’acqua viene purificata e filtrata, diventando sicura ed evitando che si diffondano infezioni, malaria e tifo, molto comuni da queste parti. A usufruire di questo sistema idrico sono 5mila persone, tra le quali 1.300 bambini, che ora possono avere una fonte di acqua pulita a distanze inferiori ad 1 chilometro. Nel 2014 Amref Kenya si è unita alla tedesca Siemens Stiftung e all’australiana SkyJuice Foundation per sostenere la Mutito Safe Water Enterprise.
Sono stati così costruiti altri chioschi di purificazione e filtraggio ed è stata estesa la rete di alimentazione e distribuzione dell’acqua. Di più: attraverso riunioni e seminari, la popolazione locale è stata sensibilizzata sull’importanza dell’igiene come primo mezzo di contrasto al diffondersi di malattie. L’intero progetto è stato affidato ad un comitato, il “Comitato di gestione delle acque uwu”, ed è quindi in mano ora interamente alla comunità locale. Il Comitato è formato da 15 membri (dieci uomini e cinque donne) e si occupa del funzionamento di tutte le singole componenti del sistema. Per coprire i costi di gestione, effettuare i necessari lavori di manutenzione e garantire un piccolo compenso agli operatori dei chioschi, la distribuzione dell’acqua avviene dietro al pagamento di un piccolo compenso (2 centesimi per un contenitore di 20 litri). Tra gli effetti collaterali positivi, a Mutito è aumentata anche la frequenza dei bambini a scuola, visto che proprio ai più piccoli era spesso affidato dalle famiglie l’approvvigionamento d’acqua con distanze che andavano dai cinque ai dieci chilometri. L’impatto del progetto sugli abitanti della cittadina è stato enorme, non solo perché ha favorito l’accesso all’acqua potabile a costi contenuti (prima solo il 27 % della popolazione poteva garantirsi acqua pulita), ma anche perché ha mostrato la possibilità di un modello di business sostenibile, gestito dal basso e replicabile in altre comunità del Paese. Acqua pulita vuol dire possibilità di curare e protezione dalle malattie prevenibili, come quelle diarroiche che causano ancora la morte di migliaia di bambini ogni anno. Nelle zone rurali del Kenya, solo il 56,8% della popolazione vi ha accesso, e solamente il 30% possiede servizi igienici adeguati.