Economia

Editoria. A Exor costa più CR7 di Repubblica, Stampa, Espresso e Radio Deejay

Pietro Saccò lunedì 2 dicembre 2019

Il banco dei giornali in un'edicola di Milano (Fotogramma)

Per capire quello che sta succedendo tra i De Benedetti e gli eredi degli Agnelli occorre partire dai numeri più che dai nomi. Altrimenti sentir parlare della vendita del gruppo che controlla testate prestigiose come la Repubblica, La Stampa o l’Espresso ed emittenti seguitissime come Radio Deejay può confondere un po’. Venerdì scorso, cioè nel giorno in cui è venuta fuori l’indiscrezione sulla cessione delle azioni di Gedi dalla Cir alla Exor, l’intero gruppo editoriale in Borsa valeva 135 milioni di euro. Cioè meno dell’1% del totale degli investimenti finanziari della holding degli Agnelli, che ammontava a 23,3 miliardi nell’ultima semestrale. Le cose che contano, nel bilancio di Exor, sono altre: la compagnia di riassicurazione PartnerRe, valutata 6,7 miliardi, le azioni della Ferrari (6,3 miliardi), quelle di Fca (5,5), di Cnh (3,3) e della Juventus (940 milioni).

Parlare della Juventus può aiutare a inquadrare meglio l’aspetto finanziario dell’affare Gedi.

Per Exor l’acquisto dell’intero gruppo editoriale è un’operazione finanziaria meno impegnativa di quella che ha portato Cristiano Ronaldo a Torino.

E proprio nelle ore in cui trattava con i De Benedetti per la quota di controllo di Gedi, Elkann stava sborsando 191,2 milioni per fare la sua parte nell’aumento di capitale della squadra campione d’Italia, il cui patrimonio netto si stava pericolosamente avvicinando allo zero.

Non è Gedi a valere poco, è il giornalismo come attività economica che rende pochissimo. Soprattutto quello stampato. Nell’ultima semestrale di Gedi, la divisione “Stampa Nazionale” (che include Repubblica, l’Espresso e i periodici) si è confermata uno dei grandi punti deboli del gruppo: rispetto a un anno fa il fatturato è sceso del 5,8%, a 116,5 milioni di euro, con un rosso operativo di 7,7 milioni.

A settembre le ultime stime del rapporto di Pwc sull’Italia mostravano come quest’anno, per la prima volta nella storia, la spesa degli italiani per comprare musica supererà quella per acquistare quotidiani. Fra quattro anni il giro d’affari dei videogiochi sarà tre volte quello della stampa. Nell’epoca dell’intrattenimento il giornalismo fatica a conquistarsi la sua fetta di attenzione (e di spesa) del pubblico e le aziende che fanno informazione vedono il loro giro d’affari restringersi anno dopo anno.

Non tutte però. L’industria del settore guarda con attenzione l'incredibile svolta impressa da Jeff Bezos sul Washington Post. Il fondatore di Amazon nel 2013 ha comprato il quotidiano americano dalla famiglia Graham e ne ha fatto una società di informazione e tecnologia, capace di raccogliere 1,5 milioni di abbonati paganti, assumere altri 250 giornalisti e rendere redditizia anche la sua piattaforma editoriale, concessa in licenza al gruppo dell’energia Bp che la userà per dare informazioni ai suoi 70mila dipendenti.

John Elkann sa già che nell’editoria si può ancora creare valore. Sotto la sua presidenza, nel 2015 Exor è diventata il primo azionista del gruppo che controlla l’Economist, con una quota del 43,4%. L’Economist Group ha il famoso settimanale finanziario, ma ha creato anche un’unità di “intelligence” che lavora sui dati, fa marketing e organizza eventi. Negli ultimi quattro anni i ricavi sono saliti da 278 a 333 milioni di sterline, l’ultimo bilancio si è chiuso con 25 milioni di utile.