Economia

Formazione professionale. Tra regionalismo e unitarietà

Maurizio Carucci mercoledì 11 dicembre 2019

La formazione professionale può essere la risposta giusta all'inserimento lavorativo dei giovani e alla richiesta di competenze da parte delle aziende. Nonostante i 2,4 miliardi di euro impegnati dalle Regioni nel 2018, l’Italia è ancora lontana dalla definizione di un modello stabile nel tempo che sappia integrare formazione e lavoro. Con uno scenario regionale frammentato e disomogeneo. È questa la fotografia che emerge in estrema sintesi dai due studi presentati dal Cnos-Fap (Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione Aggiornamento Professionale) stamane a Roma, alla Camera dei Deputati, Sala del Refettorio, Palazzo del Seminario: un sistema di politiche attive del lavoro ancora giovane, che fatica a rispondere alle problematiche poste dalla transizione scuola-lavoro, alla transizione dalla disoccupazione al lavoro, al processo di aggiornamento delle competenze della forza lavoro.

«In Lombardia - spiega Valentina Aprea della commissione Cultura della Camera dei deputati - abbiamo creato una filiera professionalizzante che va dalla formazione professionale agli Istituti tecnici superiori. In pratica esiste una continuità formativa dall'operatore al tecnico superiore. Vogliamo potenziare il sistema duale così come la Germania e dare pari dignità anche agli enti accreditati. Gli stessi dati Ocse e Pisa confermano le potenzialità degli studenti che frequentano la formazione professionale. E che acquisiscono più competenze, diventano più occupabili e hanno più opportunità di inserimento lavorativo. Con la digitalizzazione, le aziende hanno sempre più bisogno di programmatori ed esperti di coding».
Nella prima pubblicazione Politiche attive della Formazione Professionale e del lavoro, realizzata dal Cnos-Fap in collaborazione con Ptsclas (edizioni Rubbettino), un primo focus è sulle risorse complessive impiegate nel 2018: quasi 1,3 miliardi di euro per le politiche formative e 1,1 miliardi per le politiche attive del Lavoro (Pal). Mappando 328 avvisi di cui 184 relativi alle politiche della formazione e 144 alle politiche del lavoro emessi l’anno scorso, si evidenzia una crescita rispetto al 2017 (238 avvisi e 2,1 miliardi di risorse complessive). Il 65% delle risorse per la formazione sostiene l’attività ordinamentale ovvero Iefp (Istruzione e formazione professionale), Ifts (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) e l’alta specializzazione tecnica offerta dalle Fondazioni Its (Istituti tecnici superiori), mentre la formazione continua, permanente o gli interventi a supporto si dividono il restante 35%. Permane l’effetto positivo apportato dal consolidarsi del sistema duale (un percorso di studio svolto in parte nell’ente di formazione, in parte in azienda), sebbene con differenti velocità nelle diverse Regioni, confermando anche in questo ambito il divario Nord-Sud. Cresce anche la consapevolezza che la filiera professionalizzante, seppure ancora una scelta di nicchia, comporti un’occupabilità ormai di quasi il 70%, come ha riportato anche il rapporto Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) presentato dieci giorni fa. Più giovane e frammentato il sistema di politiche attive del lavoro, che fatica a darsi una logica di sistema universale e sempre aperto per rispondere alle esigenze di tutti i cittadini nella ricerca del lavoro. Gli investimenti restano per lo più legati a interventi per micro target, spesso di durata limitata nel tempo e soprattutto diversi da Regione a Regione. I bandi si dividono tra quelli “a progetto” (il 40%) e quelli “a servizio” (il 60%) che non prevedono quindi, un progetto per uno specifico destinatario, ma tendono a organizzare un servizio a cui si può accedere su base di standard individuati dall’amministrazione regionale.

Nutrito è il gruppo di Regioni e Province Autonome con solo bandi a progetto: 100% per Campania, Emilia-Romagna, Molise, Provincia di Trento, Umbria e Veneto a cui si può aggiungere un 93% della Calabria e un 96% del Friuli-Venezia Giulia. Ciò evidenziando che non si tratta di una scelta legata al Nord o Sud. Trento ha adottato una politica diametralmente opposta a Bolzano che ha un 97% di finanziamenti sulle attività a servizio, il più alto in Italia, e un 3% sui progetti. La scelta dell’ottica di servizio è primaria anche in Basilicata (87%), Lombardia (89%) e Valle d’Aosta con 91%.
L’ottica del servizio ha la peculiarità di esser sempre disponibile, non solo quindi per fronteggiare una specifica contingente emergenza. Mentre la modalità d’agire “a progetto” comporta tra l’altro un alto numero di micro-bandi e di istruttorie, che rallentano il processo e aumentano i costi di gestione. «Le aziende - precisa Cristina Greco, assessore all'Istruzione, Formazione e lavoro della Regione Toscana e coordinatrice della IX Commissione delle Regioni - chiedono professionalità formate, con livelli tecnici alti e competenze trasversali. In particolare ingegneri, informatici, data analist. Abbiamo potenziato del 60% l'offerta dei corsi di formazione professionali e valorizzato con gli Its la filiera tecnico-professionale».

«Continuiamo lo studio del comportamento delle Regioni nell’impiego dei fondi assegnati per i due ambiti
della formazione professionale, da un lato, e politiche attive per il lavoro dall’altro – ha evidenziato il direttore generale Cnos-Fap, Enrico Peretti – sono emersi aspetti interessanti di cui il governo dovrebbe tener conto perché i due temi sono fortemente connessi anche in virtù del fatto che esistono tanti mestieri che non trovano il giusto lavoratore». «In merito alla formazione le Regioni faticano ad offrire una filiera professionalizzante completa ed articolata. L’Università professionalizzante (gli Its) accoglie circa lo 0,7% degli studenti universitari, mentre in Francia e Germania questa percentuale è di circa il 20% - argomenta Eugenio Gotti, ricercatore e vice presidente di Ptsclas -. Le Pal sono ancora frammentate e la sensazione è che si tenda a rispondere a bisogni emergenti piuttosto che strutturare sistemi stabili e aperti, con una visione di lungo termine come invece ha fatto il sistema sanitario. Solo in tal modo si potrebbero rendere sistematici gli interventi di incontro domanda-offerta di lavoro e le azioni di reskilling, oggi fondamentali per supportare il reinserimento lavorativo di disoccupati di lungo periodo». Altri aspetti da considerare, strettamente connessi all’attualità, sono l’impatto che il reddito di cittadinanza ha avuto sulle Pal; anche se lo strumento è una politica di contrasto alla povertà, è ancorato alla ricerca attiva del lavoro da parte del beneficiario. È logico pensare che spesso sia necessario adeguare le proprie competenze alla domanda del mercato. Inoltre lo studio evidenzia che anche il ruolo dei navigator, che ha creato non poche frizioni tra Regioni e Governo, ha e avrà un impatto importante sulle Pal a livello regionale.

La seconda pubblicazione presentata,
L’istruzione e la formazione professionale tra regionalismo e unitarietà (edizioni Rubbettino), è stata realizzata da Giulio M. Salerno, professore dell’Università di Macerata, e riflette sul rapporto tra le norme generali stabilite a livello nazionale in materia di Iefp (cioè l’istruzione e formazione professionale che consiste nei percorsi triennali di qualifica e nei percorsi quadriennali di diploma) e la disciplina adottata dalle Regioni, che sono le istituzioni direttamente responsabili. L’obiettivo è quello di valutare la coerenza dei modelli attuati in ciascuna Regione rispetto ai “principi-guida” posti dallo Stato soprattutto a tutela del pari diritto all’Istruzione e Formazione che deve essere assicurato a tutti i giovani in ogni parte del territorio nazionale. In particolare, sono state esaminate le discipline sulla Iefp vigenti in 12 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Umbria e Valle d’Aosta) e nelle Province Autonome di Trento e di Bolzano, confrontando queste discipline con le “norme generali sull’istruzione” introdotte dal Decreto legislativo n. 61 del 2017.

«Dall’indagine risulta che i sistemi territoriali di Iefp analizzati presentano ancora una diffusa e consistente condizione di incoerenza nei confronti dei principi unitari stabiliti a livello nazionale - ha affermato
Giulio M. Salerno -. In alcuni casi, poi, mancano apposite leggi regionali in materia di Iefp, o addirittura le normative territoriali sono precedenti alla revisione costituzionale del 2001 con la quale è stata espressamente prevista la materia dell’istruzione e formazione professionale». In altre parole, vi sono consistenti carenze e ritardi che non favoriscono l’omogenea presenza della Iefp in tutta Italia, e dunque di quei percorsi formativi che, come noto, sono particolarmente dedicati all’accesso al mondo del lavoro, soprattutto per le figure professionali che sono richieste dalle imprese. Emerge, così, la necessità che gli enti territoriali procedano ad opportuni interventi correttivi e integrativi della loro legislazione, in modo da assicurare piena attuazione ai “principi-guida” della Iefp sull'intero territorio nazionale, così consentendo la presenza delle condizioni giuridiche ed istituzionali necessarie per garantire l’effettiva unitarietà del sistema nazionale della Iefp e, quindi, il pari rispetto del diritto di Istruzione e Formazione per tutti i giovani del nostro Paese».

In conclusione, si propone che siano rafforzati i processi di monitoraggio e di recepimento dei principi di unitarietà della Iefp, in particolare mediante iniziative condivise tra le istituzioni territoriali (Regioni e Province Autonome), con specifici accordi tra Istituzioni territoriali e le autorità nazionali competenti in materia di istruzione, formazione e lavoro, e con la valorizzazione del ruolo di coordinamento della IX Commissione (Istruzione, Lavoro, Innovazione e Ricerca) della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Mettendo in relazione quindi le due ricerche la sensazione è che ci sia molto lavoro da fare, ma Peretti del Cnos-Fap osserva con ottimismo: «Per anni abbiamo avuto la sensazione di immobilità in materia di formazione professionale. Negli ultimi tempi, complice la grave crisi, qualcosa ha iniziato a muoversi; cito l’avvio del sistema duale, la nascita delle Fondazioni Its che completano il percorso, il recente rinnovo del repertorio delle qualifiche e dei diplomi, quindi siamo moderatamente ottimisti. Il mondo delle imprese ci sostiene: questa filiera è più connessa al mondo del lavoro, è più flessibile, perché i percorsi formativi sono più brevi e prevedono diverse finestre di uscita. Bisogna mirare a una stabilizzazione del sistema di Iefp, rendendolo la riposta sempre più concreta alle richieste del mercato del lavoro. Questo chiediamo, numeri alla mano alle istituzioni».