Economia

Formazione. Italia ancora lontana dagli standard europei

Maurizio Carucci venerdì 16 febbraio 2024

La formazione dei lavoratori va potenziata

In Italia la formazione è ancora lontana dagli standard europei. La partecipazione ad attività formative non formali si attesta intorno al 39,3% della popolazione adulta, valore inversamente proporzionale alla classe d’età: il 17,1% è composto da individui tra i 25-34 anni, il 9,8% copre la fascia d'età dai 35 ai 44 e infine l’8,7% dai 45 ai 64 anni. I livelli di partecipazione formativa degli italiani sono leggermente peggiorati rispetto agli anni precedenti, a influire diversi fattori tra cui l’età e la scolarizzazione: sono ben lontani gli standard prefissati per la partecipazione all’Adult learning dalla Commissione Europea, che corrispondono al 47% entro il 2025 e 60% entro il 2030. La posizione dell’Italia è dunque ancora molto arretrata, occupando il 18esimo posto in Europa, davanti a Repubblica Ceca, Lituania, Ungheria, Polonia e Romania, dimostrando quindi che c’è ancora molto da fare. Questi e tanti altri sono i dati che emergono dal report Formazione e lavoro: la situazione in Italia di Enzima12.

In Italia, la propensione a realizzare interventi formativi cresce all’aumentare della dimensione aziendale: le piccole e medie imprese spesso non hanno infatti la capacità di offrire opportunità di formazione ai propri dipendenti e si stima che l’11% degli adulti che lavorano in imprese con 10-49 dipendenti partecipano ad attività di istruzione e formazione non formale legate al lavoro; percentuale che sale al 13% tra quelle delle imprese con 50-249 addetti e al 15% per quelle con più di 249 addetti. Tra le aziende che fanno più formazione spiccano le imprese attive nei settori delle public utilities (energia elettrica, gas, acqua, ambiente) con il 64,2%, seguite dalle costruzioni (57,4%), dai servizi per le imprese (55,7%), servizi alle persone (54,1%) e dall’industria manifatturiera (52,6%). In aumento anche le “imprese formative” nell’ambito del turismo (39,1%).

Le imprese che hanno realizzato più attività formative sono situate in prevalenza in Veneto con il 28,4%, pari merito con il Friuli Venezia Giulia con il 28,4%, seguito dal Trentino Alto Adige con il 27,2%. A seguire Valle D’Aosta (26,3%), Umbria (25,5%), Lombardia (25,3%), Emilia Romagna (25,2%), Piemonte (24,6%), Sardegna (23,0%), Liguria (22,4%). Qual è la ragione principale per cui non si fa formazione? Nel 72,3% dei casi, la motivazione che viene attribuita è “il personale non necessità di ulteriore formazione”.

L’affacciarsi di un numero sempre maggiore di innovazioni digitali sta conducendo a un importante sfida per le aziende che, per essere competitive, devono adeguare le proprie competenze a quelle richieste dal mercato; le imprese dovrebbero adottare entro il 2027 nuove tecnologie legate a: big data, cloud computing, intelligenza artificiale. A oggi, tuttavia, le aziende italiane hanno ancora un “approccio” moderato alla digitalizzazione: il 40% delle imprese italiane ha colto la pandemia come opportunità per investire nel digitale, contro il 46% della media UE, percentuale per cui l’Italia si piazza al diciottesimo posto tra i paesi europei per digitalizzazione .Si stima infatti che nel 2022 le aziende che non hanno investito nel digitale rappresentano il 30,4%, percentuale ancora molto alta se si considera che tra il 2017 e il 2021 costituiva il 31,5%: le imprese che hanno investito maggiormente nella transizione appartengono al settore delle industrie chimiche e farmaceutiche(87,5%), seguono i servizi finanziari e assicurativi (86%), l’istruzione e i servizi formativi privati (84%), i servizi informatici e delle telecomunicazioni (84%), e i servizi avanzati di supporto alle imprese (83%). La percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro italiana è inferiore alla media europea e le prospettive per il futuro sono indebolite dai modesti tassi di iscrizione e laurea nel settore delle Ict. Le cause possono essere ascritte alla presenza di pochi giovani da un lato e al numero molto basso di lavoratori con competenze informatiche dall’altro. Quali possono essere quindi le soluzioni? Come provare ad abbattere i divari creati dalla transizione digitale? Diventa così sempre più prioritario elaborare strategie e mettere al centro il tema della formazione continua per poter essere competitivi, a livello nazionale, nonché internazionale.

Le sfide da affrontare e le possibili soluzioni

Da una parte ci sono gli scarsi investimenti pubblici e privati in formazione, dall’altra le difficoltà di inclusione dei target vulnerabili, costituiti per esempio dai Neet (dai giovani che non studiano e non lavorano), dagli over 50 e dai percettori di sostegni. La crescita della formazione è rallentata anche dal basso livello di istruzione della popolazione: quattro italiani su dieci in età adulta sono senza diploma e soltanto meno del 27% in possesso di un titolo d'istruzione terziaria, dato che inquadra l’Italia in una delle ultime posizioni in Europa. Tutti questi divari vanno a influire su altre questioni, come il mismatch tra domanda e offerta di lavoro e gli effetti dell’inverno demografico, da cui deriva dunque la necessità di sanare tali divari che diventano con il tempo più difficili da colmare. Un recente rapporto dell’ufficio studi di Cassa e Depositi e Prestiti ha stimato infatti la perdita di 1,3 milioni di posti di lavoro entro il 2030: ogni posto di lavoro non coperto, come ogni lavoratore sottoinquadrato, significa minore attività, salari più bassi, meno Pil.

Si stima che entro la fine del decennio avremo più di 500mila baby boomer, nati tra gli anni 50 e 60, che andranno in pensione. Alla loro uscita dal mercato, però, non corrisponde l’ingresso di altrettante persone qualificate, che, nella migliore delle ipotesi, saranno 100mila in meno l’anno e sicuramente con titoli di studio più elevati, generando così uno squilibrio che può mettere in grande difficoltà interi comparti. Si rende così necessario un decisivo cambio di rotta, che può essere attuato grazie a un’azione congiunta di istituzioni, politica e principali operatori nell’ambito della formazione, e aumentando inoltre in modo consistente gli investimenti pubblici in formazione, soprattutto per le fasce più vulnerabili.

«In questi anni le aziende e le imprese italiane hanno perso grandi opportunità e possibilità a livello formativo, ovviamente con dei risvolti anche in termini di occupabilità. Oggi i dati ci dicono che il 32,7% della popolazione svolge poco o male attività di formazione e solo meno del 20% di lavoratori è beneficiario di formazione continua, percentuale che inevitabilmente dobbiamo impegnarci a triplicare nei prossimi anni. La politica deve correre assieme alle realtà come Enzima12 sui temi legati alla formazione e al lavoro: serve informare e istruire le imprese sulle enormi possibilità della formazione continua», spiega Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro della Camera.


Da segnalare l’importanza dei fondi interprofessionali come strumenti fondamentali e integrativi agli interventi politici in un quadro organico e di sistema. I fondi, infatti, devono aiutare e supportare la politica: la loro sfida dunque consiste nel colmare il vuoto delle certificazioni e delineare una linea efficiente che possa prevedere e risolvere il problema del trattamento dei contributi per la formazione alla stregua degli aiuti di Stato. Investire nei fondi significa anche rafforzare l’apparato territoriale in una chiave di coesione che possa rispondere alle esigenze. Bisogna pertanto ampliare e far conoscere ancora di più i fondi ai lavoratori e agli imprenditori, al fine di aumentare i dati relativi alla formazione. Inoltre, è fondamentale anche favorire il dialogo tra le principali piattaforme italiane, connettendo la richiesta di formazione di nuove professionalità in base alle richieste del mercato.


Il divario tra formazione e lavoro

Il numero dei laureati italiani è preoccupante se raffrontato con la media europea. Secondo l'Eurostat, oggi solo il 31,2% dei giovani italiani tra i 25/29 anni ha un laurea rispetto agli altri Paesi europei il cui numero supera il 50%. Il divario con il resto d’Europa è ancora più evidente nelle materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), con la media dei laureati in Italia del 6,7% rispetto al 12-13% europeo. È per questa ragione che la questione dell’apprendimento e l’orientamento verso queste materie, risulta fondamentale. Fare propri gli strumenti – soprattutto cognitivi – delle scienze è indispensabile nella società del futuro: il mercato richiede 1,3 milioni di laureati e diplomati Its entro il 2027, ma si trova a fronteggiare una mancanza di 8.700 profili specializzati all’anno. Uno scenario ulteriormente aggravato dalla circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati di 25-34 anni per il nostro Paese appare costantemente e fortemente negativo. Un divario tra formazione e lavoro che rischia di aumentare la mancanza di competenze specifiche e richiama una risposta concreta da parte del sistema educativo e del tessuto aziendale italiano. Secondo l’analisi di McKinsey, anche se il numero delle donne laureate supera quello degli uomini, solo un laureato su tre nelle materie Stem è di sesso femminile, due terzi infatti degli iscritti in facoltà Stem sono maschi. Non serve andare molto lontano per rendersi conto che le donne occupano solo il 22% di tutti i posti di lavoro tecnologici nelle aziende europee. Un divario aggravato poi dal gender pay gap: le donne mediamente a parità di carriera e competenze, sono pagate meno degli uomini. Parte di questo fenomeno è legato alla mancanza di un servizio di orientamento che in Italia affianchi non solo le donne, ma realmente tutti gli studenti. Per questo motivo Iliad Italia, assieme a Cnc Media, ha dato vita all’iniziativa iliadship, un progetto a lungo termine che punta a sostenere gli studenti universitari nella loro crescita formativa e professionale, attraverso l’assegnazione di borse di studio e di un programma di mentorship. Una possibilità concreta per molti giovani di accedere a risorse preziose per il loro percorso formativo e professionale. Per i prossimi dieci anni, l’obiettivo è quello di fornire ogni anno dieci borse di studio per corsi di laurea magistrale in materie Stem, Scienze Sociali e Arts & Literature dal valore di 15mila euro ciascuna e accompagnare ogni studente da un tutor e da un mentor. Il progetto permetterà ai giovani studenti vincitori del bando di abilitare in modo consapevole le proprie competenze, attraverso la possibilità di ampliare le conoscenze su queste tematiche, affiancati da professionisti competenti e appassionati, per promuovere un cambiamento positivo e duraturo sulla società di domani. Inoltre, tutti i ragazzi avranno l’opportunità di svolgere un tirocinio extra-curriculare presso iliad o un’azienda partner. Il prossimo aprile si apriranno le candidature sul sito Iliad-Iliadship.

Fornire una risposta concreta allo squilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro manageriale e porre rimedio alle difficoltà di reperimento di figure dirigenziali in Italia, problema che, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio 4.Manager su dati Anpal, nel 2023 il 66,8% delle imprese ha affrontato, con un aumento dell’+11,5% rispetto al 2022. Sono gli obiettivi principali di For-Manager, progetto di politiche attive per il lavoro promosso da Gruppo 24 ORE e 4.Manager, associazione costituita da Confindustria e Federmanager, e rivolto a 100 manager inoccupati che potranno acquisire, attraverso corsi in presenza e online, le nuove competenze richieste dalle aziende per affrontare i nuovi scenari che la mutata situazione economica e geopolitica impone per restare competitivi sul mercato. Negli ultimi anni, infatti, le aziende hanno dovuto affrontare una serie di sfide senza precedenti, tra cui la pandemia da Covid-19 e le crescenti tensioni geopolitiche, che hanno determinato una profonda trasformazione dei modelli organizzativi. Cambiamento climatico, crisi energetica, transizione digitale e trasformazione delle aspettative lavorative hanno fatto evolvere le competenze richieste dalle aziende, soprattutto in termini di leadership e management. Le competenze indispensabili per le nuove sfide del manager di oggi vengono fornite attraverso tre percorsi formativi di 32 ore ciascuno, fruibili da remoto, su sostenibilità, internazionalizzazione e innovazione digitale.

Secondo ISC2, organizzazione mondiale per i professionisti della sicurezza informatica, l’attuale forza lavoro deve raddoppiare per funzionare a pieno regime e sostenere l’economia globale. Per esplorare le cause dell’attuale carenza di competenze in materia di cybersecurity e della mancanza di professionisti InfoSec, Kaspersky ha commissionato uno studio che analizza più da vicino gli aspetti formativi del problema e la loro influenza sui percorsi di carriera di questi esperti. Molti esperti InfoSec sottolineano come il sistema educativo europeo sia lontano dalla realtà della cybersecurity, che si traduce in una mancanza di concretezza quando si tratta di esperienza lavorativa reale: quasi tutti gli altri professionisti ritengono che le conoscenze apprese durante il percorso formativo siano state in qualche modo (17%), leggermente (27%) o per nulla (24%) utili quando si trattava di svolgere i propri compiti lavorativi. In Europa il 39% degli intervistati ha dichiarato che il proprio programma universitario o scolastico ha offerto loro un’esperienza pratica in scenari reali di cybersicurezza attraverso progetti concreti: solo il 14% si è detto “fortemente d’accordo” con questa affermazione e il 25% “abbastanza d’accordo”. Inoltre, l’accesso alle tecnologie e alle attrezzature più recenti e la qualità degli stage sono emersi come gli aspetti più deboli della formazione in materia di sicurezza informatica per la maggior parte dei Paesi. Se da un lato, un problema è la qualità e la pertinenza dei programmi educativi, un altro è la disponibilità di formazione in materia di cybersecurity e InfoSec in sé. Per esempio, in Europa oggi circa la metà degli esperti di cybersecurity ritiene che la disponibilità di corsi di sicurezza informatica nell’istruzione superiore sia “scarsa” o “molto scarsa”. A livello globale, tra i professionisti con 2-5 anni di esperienza, questa percentuale sale a oltre l’80%.

I progetti a sostegno della formazione universitaria

University Network è la società under 30 leader in Italia sul target universitario. Una start up innovativa che svolge un ruolo chiave nel connettere le aziende con i giovani talenti, offrendo al contempo supporto alle Università, alle istituzioni e ai media nell'interazione con la Generazione Z. In un’epoca in cui le aziende sono costantemente alla ricerca di nuovi talenti e di strategie per rendere il proprio business più attraente, usare i canali giusti e il linguaggio adatto per coinvolgere questo pubblico è spesso una sfida. D’altro canto, i giovani hanno modi di comunicare nuovi e utilizzano canali diversi da quelli tradizionali; per coinvolgerli, è necessario creare esperienze coinvolgenti pensate per stimolare la loro curiosità e i loro interessi. In questo contesto, University Network si pone come un ponte tra le aspirazioni delle nuove generazioni e le opportunità offerte dal mercato: un punto di riferimento strategico per aziende, istituzioni accademiche e chiunque voglia interagire in modo efficace con i giovani, parlando la loro stessa lingua. Nata nel 2015 all’Università Statale di Milano, oggi conta una community da oltre un milione di universitari. Svolge un ruolo cruciale nell'arricchire l'esperienza universitaria degli studenti italiani. Attraverso le sue community social presenti in oltre 35 Atenei, offre un supporto completo ai giovani lungo il percorso di studi, dalla scelta dell'indirizzo fino all'ingresso nel mondo del lavoro, con consigli, eventi e iniziative ad hoc. In un contesto di crescente competitività tra gli Atenei, University Network è un alleato per le Università italiane, agevolando l'attrazione di nuovi iscritti. Con le sue community in 25 città italiane, fornisce un canale per comunicare direttamente con gli studenti e promuovere iniziative, eventi, programmi accademici, contribuendo a rendere l'esperienza universitaria più ricca e appagante per tutti gli studenti. Grazie al suo know-how e alla conoscenza del mondo universitario, la start up aiuta le aziende a raggiungere gli studenti universitari in maniera innovativa e credibile, adottando modalità efficaci e coerenti. Attraverso i suoi canali supporta le strategie di employer branding e di recruiting delle imprese, aiutandole a raccontarsi per risultare più attrattive nei confronti dei migliori talenti del mondo universitario.

Il valore del networking

Il networking, ossia la capacità di creare relazioni professionali, è considerata una delle abilità decisive per trovare lavoro e far carriera. Il progetto di Orienta e Bnet2connect si propone di formare centinaia di giovani sul valore del networking sia attraverso progetti nelle scuole che con iniziative per i figli dei dipendenti delle medie e grandi aziende. L'obiettivo è formare 3mila giovani entro il 2024. Le competenze umane sono quelle che fanno la grande differenza per entrare nel mondo del lavoro e fare carriera. Parliamo delle cosiddette soft skills, ossia le capacità di saper lavorare in gruppo, di affrontare le problematiche che inevitabilmente si trovano in ogni attività umana, lo spirito di sacrificio, l’umiltà, saper imparare dagli errori e così via. Tra queste abilità umane, la capacità di creare relazioni professionali è decisiva. Si tratta di una competenza, il networking, tanto fondamentale quanto poco praticata con metodo soprattutto in Italia.

È un progetto innovativo e ambizioso di formazione sulla competenza del networking rivolto ai giovani compresi nella fascia di età tra i 16 e i 25 anni tramite iniziative dedicate nelle scuole e nell’ambito dei programmi di welfare delle aziende rivolti ai figli dei dipendenti. La prima tappa, dopo una articolata “sperimentazione” presso l’Università Cattolica, del progetto è partita con la multinazionale del farmaco Sanofi nell’ambito dei servizi di welfare aziendale rivolti ai figli dei dipendenti. Il programma di formazione prevede una panoramica sulle principali dinamiche del mercato del lavoro, sull’importanza delle soft skill, lo sviluppo della consapevolezza di sé, del proprio potenziale, delle motivazioni e delle attitudini. Attività propedeutiche all’introduzione agli strumenti e alla metodologia del networking per arrivare a conoscere e scegliere i mestieri e il lavoro desiderato e/o l’università più funzionale. Focus, inoltre, sulle potenzialità della dimensione online per lo sviluppo della propria rete professionale con particolare attenzione al social professionale Linkedin, la più grande vetrina di informazioni e conversazioni on line.