Economia

Giustizia e pace. «La finanza si pieghi al bene comune»

Marco Iasevoli sabato 12 luglio 2014
Cos’è, e come si può realizzare, l’«economia inclusiva» proposta da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium? Le disuguaglianze economiche e sociali si saneranno con le leggi del mercato o serve una politica che si riappropri del potere di indirizzo? Il governo della globalizzazione oscillerà eternamente tra i fanatici del laissez-faire e i tifosi scatenati della pianificazione pubblica? Di fronte e nel cuore di una crisi che sta minando le categorie tradizionali dell’Occidente, da ieri sono riuniti nella Casina Pio IV (quartier generale del Pontificio Consiglio per le Scienze, nel cuore dei giardini vaticani) alti dirigenti di Ocse, Wto, Fmi e alcune ong globali, economisti di fama internazionale, top manager di multinazionali e giovani imprenditori. Tutti convocati dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace. E oggi accolti a pranzo da Papa Bergoglio.Con 1 miliardo e 200 milioni di persone ancora sotto la soglia di povertà, e quasi 3 miliardi di abitanti del pianeta che vivono con meno di due dollari al giorno, il sogno di un’«unica famiglia umana» rischia di diventare utopia senza una forte accelerazione nella lotta alla povertà, nella definizione di regole globali e nello sviluppo di un’autentica cultura della responsabilità sociale e ambientale. È di fronte a questa emergenza che Turkson, accogliendo i circa 70 partecipanti, disegna il volto di una Chiesa che cresce con la storia e in dialogo con la storia, cercando il confronto con tutti gli attori sociali che desiderano un nuovo investimento in virtù e moralità.Il workshop è a porte chiuse, anzi serrate, proprio per consentire il massimo scambio di idee tra imprenditori e studiosi che la pensano in modo diverso sugli sviluppi del capitalismo, sulle potenzialità di nuove idee come l’«economia del dono», sui ruoli degli organismi internazionali di indirizzo e controllo. Nella sua relazione introduttiva, monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, offre la cornice per uno schema diverso: «Siamo in una transizione lunga, promettente e problematica. L’attuale globalizzazione ha superato alcune delle disuguaglianze ma ne ha create altre. La soluzione non è nella radicalizzazione dell’economia pubblica contro quella privata, del neo-statalismo contro il neo-liberismo, ma nella fioritura di un approccio moderno fondato su una imprenditoralità "plurivalente", orientata verso il bene comune». Una nuova generazione di business man, se così si può dire, che non rifiuta l’economia di mercato ma la corregge mettendo l’uomo dinanzi a tutto. Prima dell’inizio del seminario, intervistato da Radio Vaticana, Toso era stato ancora più chiaro nell’offrire una chiave ermeneutica all’Evangelii gaudium: «Nell’enciclica Papa Francesco offre prospettive davvero interessanti che devono essere tradotte in progettualità, anche perché sono emerse interpretazioni distorte sino al punto di accusare il Pontefice di marxismo». Accusa falsa, ovviamente. Francesco, dice Toso, quando parla di «economia che uccide» si riferisce a quella «idolatria del denaro» che ha portato sino al suicidio imprenditori e lavoratori. Nella relazione Toso spiega ulteriormente: «L’assolutizzazione del mercato non genera concorrenza perfetta ma oligopoli».Uno dei punti chiave della transizione in corso riguarda il peso dell’economia virtuale che domina produzione e scambi commerciali. Alla radio del Papa Toso non ha dubbi nell’individuare «il sopravvento della finanza sulla politica» tra le cause della crisi. Sta ai governanti riprendere la plancia di comando, altrimenti, torna a dire nella sua relazione il segretario del dicastero pontificio, crescerà la sensazione che «mani invisibili» sostituiscano «le virtù civiche» e «il sistema di regole» che dovrebbero orientare l’economia. «Il laissez-faire – conclude con chiarezza Toso – genera il sonno dei regolatori». Anche perché oggi «il Pil non è sinonimo di benessere», e una prova è nel fatto che una compiuta riflessione sugli orientamenti della globalizzazione non può prescindere dalle ripercussioni sull’occupazione tout-court, sui diritti dei lavoratori (in crescita nei Paesi emergenti, in discesa nelle aree di lunga industrializzazione), sul destino incerto della classe media, sulla dimensione ambientale della crescita e della produzione.La sessione dei lavori di ieri ha visto il saluto del padrone di casa, il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, e poi un confronto sul riduzionismo antropologico causato da una globalizzazione malgovernata che cancella la parola «fraternità». Ne hanno parlato suor Helen Alford, preside della facoltà di Scienze sociali dell’Angelicum e consultore del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, e Luigino Bruni, docente di Economia alla Lumsa e tra gli animatori dell’esperienza dell’«economia di comunione». Tre i riduzionismi individuati da Bruni: «L’essere umano ridotto a solo agente economico, l’impresa ridotta ad agente di profitto, la ricchezza ridotta a mera ricchezza economica». Il punto, spiega l’economista italiano, non è «creare un nuovo modello, il modello delle anime belle, ma tornare alle radici dell’economia. L’economia per sua natura include ed emancipa, non esclude e non si esclude dalla crescita sociale». La parola chiave è «reciprocità»: non si risolve tutto con una donazione o un po’ di filantropia, ma mettendo in discussione alcuni paradigmi come la finanza del "tempo zero", in cui ogni secondo si traduce in soldi, di riequilibrare il dominio del tempo del lavoro sul tempo delle relazioni, di smuovere l’assoluta neutralità delle istituzioni rispetto ad un’economia sregolata, che non ha il senso della semina, che guarda all’oggi e non guarda a figli e nipoti. E ancora: promuovere un’idea di eccellenza della convivenza umana che abbia come criteri anche il benessere di anziani e bambini, e non solo il Pil. «Francesco ha risvegliato questi sogni in tanti player economici, anche non credenti», assicura Bruni.Sabato 12 il dibattito entra nel vivo, discutendo il paper redatto da Bruni, Leonardo Becchetti, André Habisch e Stefano Zamagni. Questi i punti caldi: i rapporti tra finanza, lavoro, commercio e tassazione, il rinnovamento delle istituzioni internazionali e l’applicazione dei principi della Dottrina sociale della Chiesa (in primis quello di sussidiarietà) su scala globale.