Politica e natalità. Come aiutare i figli a scegliere di avere figli
Alessandro Rosina, Università Cattolica
Nei giorni in cui il governo si appresta a varare una riforma dei sostegni alle famiglie che è stata definita "epocale" (ma per esserlo veramente servirebbero molte più risorse di quelle stanziate), ovvero il nuovo Assegno unico, e mentre la politica si è ri-avvitata attorno al sempiterno tema delle pensioni, nelle librerie esce un saggio che già dal titolo definisce quanto sia allarmante la condizione in cui si trova la struttura e vitalità della popolazione italiana e dunque la sostenibilità dell’intero sistema: "Crisi demografica - politiche per un paese che ha smesso di crescere" ( Vita e Pensiero, 166 pagine, 14 euro). L’autore è uno dei maggiori demografi italiani, Alessandro Rosina, professore all’Università Cattolica e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo.
Lo sguardo offerto ha il pregio di unire alla cruda e rigorosa descrizione di uno scenario che ci pone ai vertici mondiali nella classifica degli squilibri demografici, la tensione per la condizione giovanile, vero punto di caduta di ogni criticità in questo ambito. Perché oggi l’Italia non si trova soltanto di fronte a un «declino irreversibile» della natalità – siamo i primi al mondo ad avere più persone oltre i 65 anni che 15enni, presto saremo i primi con un’età mediana della popolazione di 50 anni, probabilmente i primi, nel 2050, a trovarci con un solo lavoratore attivo per ogni pensionato, lo stesso anno in cui, peraltro, gli under 25 saranno un quarto della popolazione e gli over 65 più di un terzo (molto peggio della Cina dove l’emergenza è stata dichiarata pubblicamente da tempo).
Ecco, a fronte di tutto questo il dato più preoccupante e meno discusso nel dibattito politico riguarda piuttosto lo scippo del futuro, e anche del presente, che continua ad essere messo in pratica ai danni delle generazioni più giovani. Dietro i tassi di fecondità italiani ai minimi planetari (1,24 figli per donna), ci sono tante aspirazioni non realizzate. E c’è quella dimensione strutturale del restare "figli" che si trasforma in una gabbia nel momento in cui l’unica certezza di futuro per tanti giovani è legata alle risorse private che lasceranno loro i genitori. Una condizione alla quale va ormai stretto anche il termine di "Neet" (gli under 35 che non studiano e non lavorano), altra classifica negativa che ci vede primeggiare, e così Rosina, giustamente, arriva a coniare un nuovo termine: i "parentari". Parola che supera un’idea antica di povertà – quando l’unica ricchezza risiedeva nella prole, e che rendeva, appunto, "proletari" – per definire un contesto in cui l’impoverimento delle prospettive porta alla rinuncia di avere figli e restare avvinghiati alla famiglia d’origine fino all'eredità attesa.
La via d’uscita? Nell'era in cui i figli sono diventati una "scelta", non così libera come si crede, anche la società e la politica devono "scegliere" se intendono invertire oppure no questo ciclo negativo, che confina le ragioni dei più giovani, in quanto minoranza, ai margini del dibattito, e che ha già ripercussioni importanti sul versante sociale ed economico. Il fatto è che il sentiero è stretto e in salita, cioè non basterà raggiungere i più elevati obiettivi di nascite e migrazioni per risolvere lo squilibrio della popolazione. Dunque Rosina suggerisce di agire non solo "a monte", ma anche sulle "conseguenze" degli squilibri, cioè il basso tasso di partecipazione al lavoro dei giovani con minori competenze e delle donne, con un migliore inserimento dell’immigrazione nei processi di sviluppo. Priorità, insomma, alle misure che possono rendere "leva positiva" la scelta veramente libera di avere figli e di lavorare.