«Fatemi migliorare il costo di utilizzo degli impianti e alzerò i salari. Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia, io sono pronto». Subito prima di ripartire per gli Stati Uniti alla volta della Chrysler dopo il referendum di Mirafiori, Sergio Marchionne ha lanciato un’impegnativa promessa ai lavoratori italiani della Fiat: stipendi meno magri, anche attraverso la partecipazione degli operai agli utili aziendali. Ma – avverte l’amministratore delegato Fiat – «prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli». Le dichiarazioni sono state rilasciate nel corso di una lunga intervista a
Repubblica nella quale Marchionne annuncia che anche le fabbriche di Melfi e Cassino dovranno seguire la strada di Mirafiori e Pomigliano, con l’estensione dei contratti validati dai referendum.Il top manager chiede alle fabbriche italiane di lavorare di più per guadagnare di più in un futuro che, secondo Marchionne, sarà positivo per una Fiat destinata a rafforzarsi nel quadro dell’alleanza con Chrysler. La strada della maggiore produttività resta però affidata ai nuovi investimenti e a una ripresa del mercato. Per ora c’è il nuovo annuncio dalla Fiat di cassa integrazione che coinvolgerà nella seconda metà di febbraio anche un migliaio di colletti bianchi degli enti centrali, oltre ai lavoratori delle presse di Mirafiori e della lastratura di Grugliasco.L’apertura di Marchionne sulla compartecipazione dei lavoratori agli utili piace a Raffaele Bonanni. «Sono soddisfatto che Marchionne lo dica per la prima volta con così forte chiarezza – commenta il segretario generale della Cisl – La partecipazione dei lavoratori è d’obbligo, non si può avanzare con l’antagonismo, serve un’altra energia». Bonanni dice di non immaginare «una fabbrica senza la Fiom né solo con la Fiom», ma spiega che la questione partecipativa «l’abbiamo posta fin dal primo giorno – ha affermato Bonanni – perché oggi servono delle aziende dove si mira alla qualità e alla quantità, un maggior salario e a far star bene i lavoratori. E la partecipazione consapevole e responsabile è fatta attraverso la divisione degli utili». La Fiom invece non crede alle parole di Marchionne e va all’attacco: sono dichiarazioni «offensive», afferma il segretario Maurizio Landini, dopo che nel 2010 «ha tagliato i 1.200 euro di premio di risultato ai lavoratori mentre ha aumentato lo stipendio a lui e ai dirigenti con le stock options e altri strumenti». Il segretario Cgil Susanna Camusso sottolinea poi che il top manager Fiat «continua a non raccontare qual è il piano di Fabbrica Italia». Un nuovo appello al dialogo e alla responsabilità arriva intanto dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, che invita l’azienda e i sindacati a ritrovare «un clima di maggiore concordia» in una vicenda dove «non ci sono vinti né vincitori». Nell’intervista Marchionne fa un mea culpa per aver «sottovalutato l’impatto mediatico» della vertenza Mirafiori. «Ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza», afferma riferendosi alla Fiom, organizzazione che «ha costruito un capolavoro mediatico mistificando la realtà, ma non c’è riuscita». Il risultato risicato dei sì a Mirafiori, specie tra gli operai, non porterà comunque a una riapertura della trattativa. «Il sì ha avuto la maggioranza e il discorso è chiuso, anche se dentro quella maggioranza molti cercano il pelo nell’uovo». Comunque Marchionne vuole convincere «chi ha votato no su informazioni sbagliate e chi ha votato sì per paura». «Sono convinto che le nostre ragioni siano ottime, ma non sono riuscito a farle diventare le ragioni di tutti. Passaggio obbligato sarà ora quello di estendere agli altri stabilimenti italiani, da Melfi a Cassino, il modello contrattuale avviato a Pomigliano e Mirafiori: «Non c’è alternativa, non possiamo vivere in due mondi diversi – avverte il capo della Fiat – e io spero che nemmeno gli operai, visto l’accordo alla prova, vorranno vivere nel secondo mondo». Il manager ribadisce di non voler «togliere nulla di ciò che fa parte dei diritti dei lavoratori» e respinge l’accusa di non credere al futuro di Torino. «Non ho mai fatto un investimento di così pessima qualità per l’azienda come quelli di Mirafiori e Pomigliano e questo vuol dire crederci».