Economia

AL TAVOLO CON GOVERNO E SINDACATI. Fiat, fabbrica di aut-aut

Pietro Saccò giovedì 29 luglio 2010
Chiamato a chiarire cosa ne sarà del piano "Fabbrica Italia" dopo l’annuncio della produzione in Serbia dei prossimi monovolume del gruppo Fiat, Sergio Marchionne ha spiegato tutto: il programma da 20 miliardi non è cambiato, c’era bisogno di decidere rapidamente dove costruire quelle auto e solo l’impianto di Kragujevac poteva dare certe garanzie. Ma Mirafiori non perde nulla, perché nella gamma di Fiat e Chrysler non mancano certo le nuove vetture da costruire. Detto questo – a Torino, al tavolo su Mirafiori tra l’azienda, il governo e i sindacati – il manager italo-canadese ha quindi aggiunto che c’è poco da trattare. Al governo Marchionne ha fatto presente che non chiede aiuti pubblici né incentivi perché non vuole «farsi coinvolgere» politicamente. Ai sindacati ha ricordato che Fabbrica Italia non è un accordo, ma un progetto autonomo di Fiat: quindi l’azienda non ha nessun vincolo.Non c’è spazio per grandi trattative. Fiat vuole investire in Italia – l’unica area del mondo in cui l’azienda è ancora in perdita – ma se i sindacati non le daranno «la sicurezza che le fabbriche possano funzionare» non lo farà. L’azienda non può permettersi «di produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo, o di vedere le linee bloccate per giorni interi». E se questo non è possibile «andrà altrove» perché «non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza della Fiat». L’accordo su Pomigliano non sarà replicato, si procederà con intese impianto per impianto. Lavorare senza ostacoli, è questa «certezza» quello che vuole Marchionne. «Vogliamo governare gli stabilimenti. Questa non è una cosa oscena. Qui in Italia sembra che stiamo parlando della luna» dirà il manager qualche ora dopo, alla fine dell’incontro in Confindustria con Emma Marcegaglia. Marchionne dirà anche che «prima dei diritti vengono i doveri, ma qui invece abbiamo invertito il discorso».Anche al tavolo torinese Marchionne ha parlato a lungo e agli altri (gli "altri" sono i sindacati) ha chiesto di parlare poco. Perché in questa situazione «non servono fiumi di parole» ma bastano «un sì o un no». E se sarà sì, che sia «definitivo e convinto» ha avvertito il manager.Le repliche sono arrivate presto. Quello della Cisl è un sì «senza se e senza ma» ha risposto Raffaele Bonanni. Con una condizione, però: che Fabbrica Italia «rimanga nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito». È un sì anche quello della Uil, perché, ha spiegato Luigi Angeletti, l’obiettivo di raddoppiare la produzione di auto in Italia «è così importante che non andiamo a cercare alibi o scuse per non raggiungerlo». In cambio però Angeletti chiede chiarezza: «La Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente». Chi ha firmato – su Pomigliano, ma anche sul contratto nazionale dei metalmeccanici – ci sta. La Cgil, che quegli accordi li ha rifiutati, ha confermato il suo no. Guglielmo Epifani ha chiesto a Marchionne di «riaprire il confronto a partire da Pomigliano», di farlo «gestendo l’eventuale dissenso» e senza «usare i carrarmati». Qualcosa, evidentemente, molto lontano dall’assenso «convinto» richiesto dal manager.Il governo è con Cisl e Uil. «Soddisfatto» e rassicurato sulle intenzioni dell’azienda, Maurizio Sacconi ha chiesto solo di «restare nell’alveo delle tradizionali relazioni industriali»: per il ministro del Lavoro sindacati e azienda a questo devono «trovare modalità con cui adattare il sistema di relazioni alle concrete esigenze degli obiettivi che si sono posti». Per l’esecutivo non resta che un ruolo di mediatore, perché il compito di "finanziatore" della più grande industria manifatturiera d’Italia si è esaurito con la fine degli incentivi. Una battuta di Marchionne non è sfuggita al ministro: «Ha ribadito che non chiede e che non cerca incentivi pubblici, ma cerca gli incentivi nelle persone e nelle organizzazioni sindacali».