Economia

TORINO. Fiat vuole raddoppiare la produzione in Italia

Marco Girardo giovedì 22 aprile 2010
Fiat non lascia l’Italia. Anzi: raddoppia. Ha un nome l’investimento da 20 miliardi, due terzi dei 30 complessivi previsti dal piano quinquennale, che Fiat  effettuerà entro il 2014 negli stabilimenti dello Stivale: «Fabbrica Italia». È il progetto del Lingotto «per rinsaldare in maniera permanente le radici nel nostro Paese». Non coinvolge Termini Imerese, che chiuderà i battenti come previsto, ma interesserà Mirafiori, Cassino, Melfi, Pomigliano d’Arco e Sevel in Val di Sangro.  L’obiettivo dichiarato da Sergio Marchionne nel corso dell’Investor Day è «più che raddoppiare la produzione di auto in Italia», portandola dalle 650mila unità del 2009 a 1,4 milioni nel 2014. E il 65% saranno destinate alle esportazioni a fronte del 40% del 2009. Trecentomila saranno prodotte «in casa» e spedite negli Stati Uniti. E alle automobili si aggiungeranno a regime anche i 250mila veicoli commerciali leggeri (Lcv) sfornati nello stabilimento in Val di Sangro. «Si tratta di un’opportunità enorme per creare occupazione – sottolinea Marchionne – ma sarà indispensabile la flessibilità della forza lavoro e dei dirigenti. Gli stabilimenti possono funzionare solo se lavorano a piena velocità». Sapori agro-dolci per i sindacati. Promessa di nuovi posti di lavoro, anche se non ancora quantificati, in cambio di un ciclo produttivo più elastico. «I sei stabilimenti Fiat italiani hanno funzionato ben al di sotto della loro capacità – spiega Marchionne – e se continuiamo a lavorare così non siamo sostenibili. Ci vogliono misure correttive. Dobbiamo ristrutturare la base industriale che ci consenta di raggiungere livelli ottimali in ogni stabilimento, lavorando su 18 turni alla settimana» (dunque compreso il sabato).Tradotto con numeri e percentuali, a Mirafiori (dove verranno allocate le architetture Small e Compact) i volumi aumenteranno di 100mila vetture entro il 2014. «Sarà uno stabilimento sempre più targato Alfa», precisa l’ad. A Cassino saranno prodotte oltre 400mila vetture quadruplicando i volumi. Melfi vanta già un alto livello di utilizzazione e «ne raggiungerà uno ottimale». Pomigliano d’Arco è stato infine «il più colpito dalla crisi», ammette Marchionne, ma verrà dotato dell’architettura Mini per produrre 250mila auto l’anno con un livello di utilizzazione del 96% a regime. Sono già pronti 700 milioni d’investimenti. «Il piano rappresenta un’opportunità unica per chiudere con il passato e aprire una pagina nuova», insiste l’amministratore delegato, rivolgendosi indirettamente alle parti sociali che incontrerà al termine dei lavori: «Dobbiamo discutere con i sindacati: è un’occasione di quelle che arrivano una sola volta nella vita». Se poi qualcuno non volesse prendere l’ultimo treno, «è già pronto un piano B. E vi assicuro che non è un piano molto bello». Il numero uno è più preciso in conferenza stampa: «Il piano B prevede di prendere questa baracca produttiva e di svilupparla all’estero». Un messaggio ai rappresentanti dei lavoratori, ma anche al governo, al quale «la Fiat non ha chiesto niente in questi anni, né assistenza né finanziamenti», anche se all’estero – Marchionne cita recenti accordi in Russia, Messico e per la stessa operazione Chysler negli Usa – c’è una fila di Paesi pronti ad accoglierci con finanziamenti agevolati per produrre da loro». «Certa gente – aggiunge a questo punto straripante l’ad – dice che la Fiat appartiene al governo per tutti gli aiuti che ha ricevuto, ma è una cavolata bestiale: avete visto tutti il nostro comportamento sugli incentivi: è stato un martirio. Dal governo vogliamo solo ciò che danno a tutti gli altri». Quello ai sindacati diventa invece un ultimatum: «Spero di trovare gente con cui dialogare, ma se non ci stanno non possiamo farci niente, se non vogliono andare avanti lo dicano. Il mondo è cambiato e bisogna adeguarsi. Fabbrica Italia è una grande opportunità e spero il Paese la colga». Anche John Elkann non rinuncia tuttavia a togliersi con garbo qualche sassolino dalle scarpe, pensando a quanti avevano dato per certo un disinvestimento della famiglia dall’Automotive: «Fabbrica Italia – sottolinea il presidente che pensa in inglese – è una chiara indicazione delle radici di Fiat e dell’importanza che ha nel nostro Paese. Ci auguriamo che si possa fare».Scorporo in sei mesi. Signore e signori, benvenuti a Torino». Sergio Marchionne presenta la Fiat del futuro: le macchine agricole di Cnh, i camion Iveco e un pezzo di Powertrain (Industrial&Marine) verranno scorporati per dar vita a Fiat Industrial, fra sei mesi in Borsa. Nel 2014, invece, Fiat Group Automobiles, l’auto libera di correre, raddoppierà la produzione in Italia e raggiungerà nel 2014 insieme a Chrysler i 6 milioni di veicoli nel mondo. Il gruppo realizzerà così ricavi record per 93 miliardi, con un utile netto vicino ai cinque.Torino «dove sono le radici storiche della nostra azienda», dice Marchionne, raccoglie analisti da tutto il mondo e nella maratona dell’Investor day – 6 ore serrate – l’amministratore delegato presenta la «svolta epocale», come l’aveva definita martedì l’ex presidente Luca Cordero di Montezemolo, nel giorno dell’addio. «Oggi siamo qui per presentarvi che cosa le migliori energie della Fiat saranno in grado di fare nei prossimi 5 anni» esordisce Marchionne. Il gran cerimoniere saluta anzitutto «l’amico Luca, con il quale abbiamo gettato le fondamenta». Ringrazia quindi «il miglior amico Gianluigi Gabetti», che nel 2004 lo chiamò alla guida del gruppo. E concede la standing ovation al nuovo presidente John Elkann, che il Cda ha incoronato tre ore prima: «Abbiamo navigato insieme in acque infestate da squali John e io, e siamo cresciuti sia come uomini sia come leader. La sua nomina è un’ulteriore conferma dell’impegno dell’azionista di riferimento, Exor, nei confronti di Fiat». John aspetta la conferenza stampa finale per confermare: «A nome degli azionisti condivido con Sergio  un piano ambizioso e lo spirito di cambiamento. Un passo storico sul quale prevale proprio l’auto, che resta alla Fiat». Cioè agli Agnelli.Ma è lo scorporo la notizia più attesa dai mercati, che hanno infatti premiato il titolo con un rialzo finale dell’1,7% dopo un tonfo del 4% nel corso della seduta. «Era il momento giusto per procedere – spiega l’ad – perché con Chrysler abbiamo raggiunto la massa critica sufficiente nell’auto». L’operazione «non viola alcun diritto degli azionisti di minoranza di Fiat o di Cnh, per tutte le classi di azioni, e non provoca alcuna operatività di clausole di restituzione anticipata dei nostri bond (Fiat and Cnh)», spiega Marchionne, che diventerà anche presidente di Fiat Industrial oltre che ad di Fiat Spa. Gli Agnelli, precisa invece il presidente Jhon Elkann, resteranno azionisti in eguale misura (attraverso Exor) nelle due società. «Che avranno così la possibilità di svilupparsi autonomamente, perché ci sarà maggior chiarezza e trasparenza». Insomma: l’Auto da sola, alleggerita della componente industriale, ma con tutta la componentistica (Magneti Marelli, Teksid, Comau e i motori Powertrain) viaggerà più veloce. Sul mercato globale. Quello che John chiama «un salto nel futuro, impossibile senza Chrysler».L’obiettivo è produrre e vendere 6 milioni di pezzi entro il 2014. Con 34 nuovi modelli, 13 per il Nordamerica, 10 da Fiat. In Europa si punta a 2,15 milioni di veicoli (+64%) di cui 1,1 targati Fiat (+20%) e alla leadership nei motori ecologici (riduzione Co2). Solo l’Italia ne assorbirà 1,4 milioni dai 650 mila dello scorso anno. E se il Brasile si confermerà fra i primi mercati, la sfida più ambiziosa è nel resto del mondo (Cina e India in particolare), dove il Lingotto punta ad aumentare del 400% le vendite con 920mila unità, di cui 300mila in Cina. Nei cosiddetti Paesi emergenti Bric (Brasile, Russia, India e Cina) Fiat vuole piazzare 2 milioni di pezzi. «I concorrenti non ci crederanno e si metteranno a ridere e moriranno dal ridere – scherza Marchionne –. Ma non ci credevano neanche quando abbiamo presentato il primo piano industriale e invece abbiamo centrato tutti gli obiettivi: questa è la risposta a un sistema arrogante».Ambizioso il «piano quinquennale» lo è pure nei target finanziari. L’obiettivo di raggiungere nel 2014 ricavi per 93 miliardi (con un risultato della gestione ordinaria a 6,8 miliardi) sarebbe il più alto mai raggiunto nella storia del gruppo, +55% rispetto al record del 2008.