L'analisi. Il risiko dell'auto: Marchionne, un uomo solo al volante
Mary Barra, Donald Trump e Sergio Marchionne durante l'incontro alla Casa Bianca del 24 gennaio scorso
Chi è (o sarebbe) la preda, e chi il cacciatore. Questo è da capire, perchè non sono del tutto chiari i ruoli di Fiat Chrysler e di General Motors nella possibile seconda puntata del risiko delle acquisizioni che il mondo dell’auto sta apparecchiando. Dopo l’annunciata cessione di Opel a Psa (Peugeot-Citroën-Ds) da parte del Gruppo GM – chiusura prevista entro il prossimo fine settimana, 2 miliardi di dollari il prezzo –, i mercati scommettono sul matrimonio d’affari tra Sergio Marchionne e Mary Barra.
Nonostante l’ennesima secca smentita di pochi giorni fa della ad statunitense rilanciata da Bloomberg («continuiamo a non essere interessati all’idea di un’aggregazione con Fiat Chrysler Automobiles»), le ragioni per cui l’inseguimento del numero uno di Fca alla lady di ferro di GM sarebbe ora in discesa dopo mesi di inutile corteggiamento potrebbero essere strategiche per quest’ultima, che si libererà di un marchio non redditizio come Opel ma perdendo il 6,5% di mercato che rappresentava in Europa. Anche politicamente, Fca piace al presidente americano Trump che applaudirebbe a una fusione con GM e alla creazione di un Gruppo fortissimo e allineato alla sua politica protezionistica.
I motivi d’interesse di Marchionne invece restano gli stessi di sempre, resi ancora più pressanti dalla situazione che si sta creando: il più antico e più convinto assertore della politica delle alleanze quale unica via per resistere nel mercato automobilistico globale, rischia ora di restare spiazzato e con il cerino in mano. Le geografia industriale delle quattro ruote infatti è ormai disegnata quasi per intero: con il 34% di Mitsubishi nelle mani dell’Alleanza Nissan-Renault, con Suzuki finita nella sfera di Toyota e Opel in quella di Psa, non restano soggetti appetibili e tantomeno scalabili per quel consolidamento che gli Agnelli attraverso il presidente John Elkann cercano per avere in futuro un più comodo ruolo da azionisti anzichè di gestori dell’azienda.
Molti analisti del settore sottolineano come oggi in generale, le case automobilistiche non hanno più solo bisogno di condividere impianti industriali, piattaforme, motori e architetture: la richiesta fortissima di elettrificazione e la corsa alla connessione richiedono investimenti impossibili da sostenere da soli. E Marchionne oggi, al di là di qualche collaborazione (con Suzuki, a cui fornisce i motori diesel, e Mitsubishi per i pick-up) è un uomo solo al comando. Per chi costruisce auto invece, i partner indispensabili sono diventati i fornitori di tecnologia digitale e le aziende hi-tech, ma l’elettrificazione e l’ibridizzazione del prodotto per rispondere alle sempre più severe norme ambientali richiedono condivisioni importanti. E in questo senso Fiat-Chrysler, malgrado l’accordocon Google, è in grande ritardo.
Acquisizione (o addirittura cessione?), fusione, sinergia: la formula, si diceva, è tutta da capire. Non è un dettaglio ovviamente, ma quel che conta è che la costituzione di un Gruppo unico Fca-GM darebbe vita al più grande soggetto automobilistico del mondo, in grado di produrre 13 milioni di veicoli l’anno, leader assoluto nelle quote dimercato di molte aree del pianeta. Un grande affare per Marchionne, che chiuderebbe il suo mandato (previsto entro la fine del 2018) con un’altra alleanza storica, buona per entrare anche nei mercati asiatici, condividere la rete di vendita, trovare le tecnologie sull’elettrico e trasformare definitivamente Fca in un marchio globale. Ma prezioso anche per General Motors, che si riposizionerebbe in Europa grazie ai numeri di Fiat, riporterebbe un brand in grande espansione come Jeep in mani completamente americane, e acquisterebbe in dote il prestigio di Maserati e Alfa Romeo.
Visioni, forse. Sulle quali Marchionne sarà chiamato a fare chiarezza già il 7 marzo a Ginevra dove – se non diserterà all’ultimo, come capitato spesso di recente in queste occasioni – è atteso all’apertura del Salone dell’auto. Una data forse ancora troppo vicina per ipotizzare scenari concreti: probabilmente in quella occasione l’ad di Fca si limiterà a ripetere il suo impegno totale per la realizzazione del piano 2018: chiudere cioè senza debiti, con 5 miliardi di cassa, 9 miliardi di utile operativo e 5 miliardi di netto. Un traguardo che consentirebbe al Gruppo un futuro più tranquillo grazie alla sua forte solidità finanziaria.
Altro invece è la forza e la solidità del marchio. Una ricerca di Brand Finance, società di consulenza specializzata in questo tipo di valutazione, ha appena assegnato alla Ferrari il titolo di marchio più potente nel settore auto per prestigio e per quanto concerne la capacità di attrarre nuovi clienti. Ai primi tre posti della graduatoria di valore invece (cioè con le migliori prospettive di fatturato) ci sono, nell’ordine, Toyota, BMW e Mercedes, mentre le cose non vanno bene per i brand che fanno parte di Fiat Chrysler Automobiles. Alfa Romeo e Lancia non sono state nemmeno prese in considerazione per scarsità di modelli ed esiguità del fatturato. Fiat invece risulta essere solo alla posizione numero 49, Jeep alla 52 e Maserati alla 70, tutte in forte calo rispetto alla classifica di un anno fa.