Sentenza. Ex Ilva: condanne ventennali per i Riva, tre anni e mezzo a Vendola
Fabio Riva, figlio dell'ex patron dell'Ilva di Taranto Emilio
La Corte d'Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società: Ilva spa, Riva fire e Riva Forni Elettrici) nel processo chiamato 'Ambiente Svenduto' sull'inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico. Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva. Condannato a 3 anni l'ex governatore pugliese Nichi Vendola per i quale i pm avevano chiesto 5 anni.
I quattro pm del processo (Mariano Buccoliero, Remo Epifani,Raffaele Graziano e Giovanna Cannalire) hanno chiesto condanne per circa 400 anni complessivi, diverse sanzioni pecuniarie verso le società - che rispondono per la legge sulla responsabilità amministrativa delle imprese - e la confisca degli impianti dell'acciaio.
La Corte d'Assise ha condannato a 3 anni di reclusione l'ex presidente della Provincia Gianni Florido, che risponde di una tentata concussione e di una concussione consumata, reati che avrebbe commesso in concorso con l'ex assessore provinciale all'ambiente Michele Conserva (condannato a 3 anni) e l'ex responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà (condannato a 21 anni e mezzo) che dopo i Riva è quello che ha avuto la condanna più pesante. Ventuno anni di reclusione sono stati invece inflitti all'ex direttore del siderurgico Luigi Capogrosso (28 la richiesta dei pm). Condannato a 17 anni e sei mesi l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti.
Condannato a 2 anni anche Giorgio Assennato, ex Dg di Arpa Puglia. I pm avevano chiesto per lui la condanna ad un anno ed Assennato in aula nei giorni scorsi aveva anche rinunciato alla prescrizione. Assennato è accusato di favoreggiamento verso l'ex presidente della Regione Vendola, in quanto avrebbe negato le pressioni esercitate da quest'ultimo su Arpa Puglia perché ammorbidisse il tiro suI'Ilva.
Adolfo Buffo, ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, ed attuale direttore generale di Acciaierie d'Italia (società tra ArcelorMittalItalia e Invitalia), è stato condannato a 4 anni. Per Buffo, i pm avevano chiesto la condanna a 20 anni. A Buffo era contestata anche la responsabilità di due incidenti mortali sul lavoro. L'ex presidente Ilva, Bruno Ferrante, è stato invece assolto. Per l'ex prefetto di Milano, i pm avevano chiesto 17 anni. Bruno Ferrante si era insediato comepresidente del cda Ilva a luglio 2012, cioè poche settimane prima del sequestro degli impianti da parte della magistratura.
La Corte d'Assise di Taranto ha disposto la confisca degli impianti dell'area a caldo dell'ex Ilva di Taranto per il reato di disastro ambientale imputato alla gestione Riva. Per il momento questa decisione non ha alcun effetto immediato sulla produzione e sull'attività del siderurgico di Taranto. La confisca degli impianti è stata chiesta dai pm, ma essa sarà operativa ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione, mentre adesso si è solo al primo grado di giudizio.Gli impianti di Taranto, quindi, restano sequestrati ma con facoltà d'uso agli attuali gestori della fabbrica. Gli impianti pugliesi sono infatti ritenuti strategici per l'economia nazionale da una legge del 2012 confermata anche dalla Corte Costituzionale. Per area a caldo si intendono parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaierie. Nel passaggio degli impianti dall'attuale proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria all'acquirente, cioè la società Acciaierie d'Italia tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, è previsto il dissequestro degli impianti come condizione sospensiva. Passaggio per ora collocato entro maggio 2022.
I giudici erano riuniti in Camera di consiglio dalla tarda serata del 19 maggio scorso. Il processo è iniziato il 17 maggio 2016 e scaturisce dall'inchiesta che portò al sequestro degli impianti dell'area a caldo del siderurgico e agli arresti a partire dal 26 luglio 2012. "E' un momento storico questo e lo accogliamo con un applauso" con queste parole i rappresentanti del comitato 'Giustizia per Taranto' che questa mattina erano all'esterno della Scuola Sottufficiali della Marina militare, dove i giudici erano riuniti , hanno commentato il dispositivo della sentenza letto dalla presidente Stefania D'Errico.
L'ex governatore Vendola: verità calpestata. E annuncia appello
Si «ribella a una giustizia che calpesta la verità» e rivendica la paternità di quelli che furono i primi provvedimenti in difesa dell’ambiente di Taranto e della salute dei suoi cittadini: l’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, oggi condannato a tre anni e mezzo di reclusione nel processo "Ambiente Svenduto", si sente «in un mondo capovolto». Accusato di concussione aggravata in concorso nel presunto disastro ambientale provocato dall’Ilva, Vendola avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far «ammorbidire» la posizione dell’Agenzia per l’ambiente nei confronti delle emissioni nocive prodotte dal siderurgico. Le stesse emissioni che la sua Giunta, dal 2005 al 2015, ha limitato con una serie di norme e monitoraggi sulla qualità dell’aria.
Tra queste c’è la legge regionale che fissò limiti molto restrittivi alla emissione di diossine e furani, prevedendo, in caso di inottemperanza, l’arresto dell’impianto. Inoltre il Consiglio Regionale, su iniziativa della Giunta, nel 2011 emanò una legge per la copertura dei parchi minerari e la riduzione della produzione di acciaio nelle giornate di vento per evitare la dispersione delle polveri. «Siamo consapevoli - afferma il governatore pugliese Michele Emiliano - che la Regione Puglia dal 2005 in poi è stata l’unica istituzione ad aver concretamente agito per fermare quella scellerata gestione della fabbrica». Anche il sindaco di Bari e presidente Anci, Antonio Decaro, ricorda le «battaglie» di Vendola e si dice «convinto che sarà assolto». Così come il senatore del Pd Dario Stefàno. Gli fa eco il collega Pd Gianni Pittella: «Niki è uno degli artefici del cambiamento della Puglia e dell’intero Mezzogiorno».
Il diretto interessato definisce il pronunciamento una «mostruosità giuridica» e annuncia appello. Per Vendola la sua condanna e quella di «uno scienziato come Assennato», ai quali sono stati inflitti due anni per favoreggiamento, «è una vergogna». Lo stesso Assennato, che Vendola nominò e poi confermò per altri cinque anni alla guida dell’Arpa, ha sempre negato di aver ricevuto pressioni dall’ex presidente della Regione. A entrambi dà il proprio sostegno Sinistra italiana.