Economia

Jobs act. L’estate dei nuovi contratti

Francesco Riccardi mercoledì 10 giugno 2015
​Un’estate per ridisegnare il sistema della contrattazione. Domani il governo, approvando gli ultimi decreti attuativi del Jobs act, non interverrà direttamente nella materia. Non approverà il salario minimo legale che pure era previsto nella legge delega. Non entrerà a gamba tesa in un terreno, quello dei contratti, patrimonio storico delle parti sociali. Lancerà però un ultimatum, dando tempo a sindacati e imprenditori solo fino a settembre, appunto, per riformare i contratti. In caso contrario, in autunno, comincerà a intervenire con il salario minimo prima, con una legge sulla rappresentanza poi e, forse, con un provvedimento ancora più invasivo per dare prevalenza ai contratti aziendali rispetto a quelli nazionali.
È questo, secondo le ultime indiscrezioni, lo scenario che si prospetta per il Consiglio dei ministri di domani che ha all’ordine del giorno gli ultimi decreti attuativi del Jobs act, che entro la scadenza per esercitare la delega, il 15 giugno, devono essere approvati e consegnati alle Camere. Sul tavolo di Palazzo Chigi dovrebbero quindi finire tre provvedimenti principali. Il primo è relativo al ridisegno del sistema di ammortizzatori sociali. Dopo aver modificato il sussidio di disoccupazione creando la Naspi, a essere riformata sarà soprattutto la cassa integrazione. Sarà estesa anche alle piccole aziende, ma spariranno quella in deroga e la straordinaria in caso di crisi aziendale non risolvibile. Previsto poi un sistema di bonus/malus con contributi crescenti per le aziende che vi fanno maggiore ricorso e uno sconto invece per le altre. I decreti conterranno inoltre anche l’istituzione dell’Agenzia ispettiva unica e dell’Agenzia nazionale per l’occupazione che dovrebbe sovrintendere a tutte le politiche attive per il lavoro. Strutture che saranno in realtà interamente da costruire, operazione tutt’altro che semplice e immediata. Infine, un decreto riguarderà anche la revisione della disciplina dei controlli a distanza, con prevedibili strascichi polemici con i sindacati.
E proprio per evitare di aprire nuovi fronti di conflitto, questa volta con l’intero movimento sindacale e persino con le associazioni imprenditoriali, il governo ha scelto una linea "sussidiaria", per il momento solo di stimolo alle parti sociali perché mettano loro in moto il cambiamento. Sarebbe stata accantonata, infatti, l’ipotesi oltranzista, quella che prevedeva una "rivoluzione" in tre mosse: approvazione del salario minimo legale che avrebbe spiazzato i sindacati e spinto molte imprese a uscire dalle associazioni datoriali non essendo più obbligate a fare riferimento ai contratti nazionali; incentivazione dei contratti di secondo livello cancellando di fatto il primo, quello nazionale, sul modello di quanto avvenuto in Fiat-Fca; nuova legge sulla rappresentanza con regole più stringenti su scioperi e delegati in azienda. Ipotesi accantonata, dicevamo, ma non abbandonata. Ora infatti la questione torna nelle mani delle parti sociali, con la Cgil contraria al depotenziamento del contratto nazionale e che, nonostante sia favorevole a una legge sulla rappresentanza, non si fida minimamente di come il governo Renzi potrebbe farla. La Cisl, invece, che pur osteggia una legge sulla rappresentanza sarebbe disponibile ad arrivare a un testo condiviso sulla base di quanto previsto nell’intesa interconfederale di due anni fa e del modello in vigore nel Pubblico impiego. Soprattutto, la Cisl è storicamente orientata a dare maggior peso al contratto di secondo livello rispetto a quello nazionale e su questo le posizioni con Confindustria si sarebbero molto avvicinate dopo l’assemblea a Milano di fine maggio e la riunione dei giovani a Santa Margherita la scorsa settimana. L’idea di base sarebbe quella di mantenere i due livelli, con quello nazionale di garanzia per tutti (con pochi grandi contratti al posto dei 400 di adesso) e i contratti aziendali (o territoriali) potenziati nei quali negoziare aumenti salariali sempre più strettamente legati agli incrementi di produttività e redditività della singola impresa. Soprattutto concordare a livello aziendale tutta l’organizzazione del lavoro e degli orari, anche in deroga rispetto alle regole fissate a livello nazionale. «Noi siamo fortemente contrari al salario minimo legale, ma siamo pronti, prontissimi a innovare il sistema contrattuale», conferma Gigi Petteni, segretario confederale Cisl.
Trovare un’intesa unitaria in soli 2 mesi sarà tutt’altro che facile. Ma che il futuro stia soprattutto nella contrattazione più prossima alla produzione di beni e servizi, il livello aziendale, lo dice anzitutto l’evoluzione stessa della contrattazione in quest’ultimo decennio e durante la grande crisi in particolare. La riprova la si può trovare nella Fiera della contrattazione che la Cisl della Lombardia organizza ormai da 5 anni (si apre domani al Crowne Plaza di San Donato milanese). Anche in una situazione difficilissima come quella vissuta nel 2014, infatti, la contrattazione di secondo livello è stata particolarmente vivace e il sindacato lombardo ha selezionato oltre 500 intese significative. «È in atto una trasformazione profonda della negoziazione con le imprese – spiega Giorgio Caprioli, responsabile contrattazione della Cisl lombarda –. Se prima era prevalentemente di conquista di più salario e maggiori diritti, con le trattative riguardanti le crisi e le riduzioni di personale a fare da eccezione, ora si tratta di una pratica molto varia in cui, accanto alle trattative di conquista, si affiancano quelle di scambio tra vecchie e nuove tutele, con al primo posto il diritto al lavoro, a un’occupazione anche a condizioni diverse dalle precedenti. A ciò si affianca una maggior disponibilità, richiesta ai lavoratori, alla flessibilità di orario e professionale e ad imparare nuovi mestieri durante tutta la vita lavorativa. Infine nuove forme di protezione e remunerazione attraverso misure di welfare aziendale».
Gli esempi sono significativi. Gli aumenti salariali, che in un periodo di crisi non riguardano più la maggioranza assoluta degli accordi esaminati, laddove ci sono vengono sempre più "personalizzati" come avvenuto ad esempio alla Metro di Brescia, dove gli 850 euro di premio sono legati a 16 diversi indicatori, 3 aziendali, 9 di reparto e 4 individuali. O come alla Solvay Speciality Polymers i cui 1.650 euro di premio vengono calcolati per il 30% sulla redditività, il 40% sulla produttività e un altro 30% in base a parametri di sicurezza sul lavoro e sviluppo sostenibile. Un contratto questo che, al suo interno, prevede pure un ricco menù di misure sociali come il contributo di 200 euro al mese per i bambini al nido, borse di studio per i figli, colonie climatiche, premi ai dipendenti che si diplomano o si laureano, permessi non retribuiti di 20 giorni per esami, possibilità di anticipo di 13esima e 14esima, premi di anzianità e varie altre provvidenze. Il welfare aziendale, infatti, è l’altro tema della contrattazione in forte sviluppo. È entrato nel 20% circa degli accordi, secondo il campione esaminato dalla Cisl Lombardia, e sempre più spesso è l’alternativa alla crescita salariale quando i conti non permettono incrementi sostanziosi. Ma è soprattutto in tema di ristrutturazioni, di organizzazione degli orari e di flessibilità che la contrattazione di secondo livello mostra tutta la sua importanza. Come nei casi di Dalmine, della Guala closures e della Prua che hanno potuto superare i momenti più difficili della congiuntura attivando il vasto ventaglio di ammortizzatori, riducendo o flessibilizzando gli orari, oppure, come nel caso della Gum Base, adottando forme di polivalenza per i lavoratori in diverse aree aziendali con una maggiorazione salariale.Che ci sia ricchezza da redistribuire o una crisi da affrontare, è solo in azienda che la cassetta degli attrezzi della contrattazione può essere utilizzata con la massima efficacia.