Energia. Gas dall'Algeria, ma per il futuro bisogna investire nelle rinnovabili
Il premier Mario Draghi con il presidente dell'Algeria Abdelmadjid Tebboune, ad Algeri durante la missione del governo italiano che prevede la firma di accordi bilaterali in diversi settori, compreso quello dell'energia e della transizione ecologica
L'Algeria è sempre più un partner di primo piano per l’Italia. A conferma di ciò, la visita del presidente del consiglio Mario Draghi ieri ad Algeri, accompagnato da una vasta compagine di ministri: Esteri, Interni, Transizione ecologica, Infrastrutture, Giustizia, Pari opportunità. Durante la visita sono stati firmati numerosi accordi, dal settore farmaceutico alla costruzione di autostrade, dalla tutela del patrimonio culturale al contrasto alla radicalizzazione in carcere. A farla da protagonista sono senza dubbio gli accordi sull’energia: con circa 12 miliardi di metri cubi (bcm) consegnati dall’inizio dell’anno, l’Algeria ha già preso il posto della Russia come primo fornitore di gas per l’Italia. Ciò grazie alle intese siglate nel mese di aprile da Eni e Sonatrach, la compagnia di stato algerina, per un aumento di 3 bcm di gas nel corso del 2022 (poi divenuti 4), per arrivare a più 9 bcm a partire dal 2023.
Il contributo algerino all’obiettivo italiano di emancipazione dalle forniture di gas russo è innegabile. Tuttavia, occorre andare oltre le considerazioni di sicurezza energetica a breve termine. In particolare, l’importanza accordata ad Algeri come nuovo perno della strategia italiana di proiezione nel Mediterraneo, obbliga ad ampliare lo sguardo alle molte fragilità dello stato algerino, alla base delle quali c’è proprio la dipendenza dal settore degli idrocarburi. Questi rappresentano il 94% delle esportazioni e il 40% delle entrate di Algeri: da queste dipende la sopravvivenza di un sistema di potere oligarchico (il pouvoir) che attraverso la redistribuzione della rendita riesce a mantenere la pace sociale. Non è infatti un caso che l’Algeria sia riuscita a passare quasi indenne attraverso le primavere arabe, nel 2010-2011: entrate ingenti derivanti dai prezzi elevati degli idrocarburi in quel periodo, hanno permesso allo Stato algerino di contenere il dissenso. Recentemente, sono state due le minacce principali alla stabilità del sistema di potere: le proteste popolari dell’Hirak nel 2018-19 e, durante la pandemia, il crollo delle entrate del settore oil&gas. Proprio la necessità di risanare le casse pubbliche attraverso l’introduzione di riforme altamente impopolari come il taglio dei sussidi, ha messo l’Algeria di fronte al dilemma con cui tutti i Paesi esportatori dovranno prima o poi fare i conti: come mantenere la stabilità di un sistema che dipende dalla rendita, in un mondo in cui questa non è più garantita? La fame di energia dei Paesi europei derivante dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha lanciato un inatteso salvagente allo stato algerino, portandolo a cercare di massimizzare la propria inaspettata posizione di nuovo fornitore chiave per la sicurezza energetica italiana ed europea. In quest’ottica rientra ad esempio il recente annuncio di aumento di prezzo del gas venduto agli europei, adeguandolo a quello del mercato spot. Tuttavia, questo insperato risanamento delle casse pubbliche attraverso prezzi del gas mai così elevati non risolve i problemi di fondo: un sistema politico chiuso e un’economia asfittica, segnata dalla mancanza di posti di lavoro per una popolazione giovane sempre più numerosa, che rischia di dare origine a proteste di piazza o fenomeni di radicalizzazione. Ecco perché nel delineare il proprio partenariato strategico con l’Algeria, l’Italia dovrebbe domandarsi quale tipo di futuro voglia impegnarsi a supportare. Nonostante la bonanza attuale, il calo drastico della rendita è uno scenario ineludibile per lo Stato algerino, così come per gli altri Paesi esportatori. I piani di transizione energetica impongono una riduzione della domanda di gas, stimata a livello Ue in meno 30-40% al 2030 rispetto al 2021. La crisi climatica resa ancora più evidente in questa estate di siccità e scioglimento dei ghiacciai, impone un’ulteriore accelerazione.
A conclusione del vertice, è stata espressa la volontà di sostenere la transizione energetica algerina attraverso investimenti nelle rinnovabili. Affinché si favorisca una vera diversificazione dell’economia algerina, la creazione di posti di lavoro e il disinnesco della bomba sociale pronta a esplodere, è necessario che questi interventi non siano cosmetici, ma siano massicci e decisi: ogni nuovo investimento deve andare in rinnovabili, ammodernamento della rete elettrica e semplificazione del quadro regolatorio. Dal momento che la generazione elettrica algerina deriva per il 99% dal gas, aumentare la quota di rinnovabili a disposizione della domanda interna andrebbe a liberare quantitativi di gas per l’esportazione. Ciò consentirebbe all’Italia di favorire una transizione giusta, senza sacrificare l’obiettivo della sicurezza energetica. Nel delineare dunque la propria partnership strategica con l’Algeria, l’Italia ha di fronte due possibilità: il mantenimento dello status quo o l’adozione di un approccio trasformativo. Saranno i prossimi mesi a confermare o smentire l’impegno italiano a favore del secondo.
Analista senior politica estera di ECCO Think Tank italiano per il Clima