Lo studio . Così la cultura può far crescere le aziende italiane
Ginevra Gorimercoledì 30 ottobre 2024
Una ragazza circondata dall'arte in un museo
«La bellezza salverà il mondo» scrisseDostoevskij nel suo celebre“L’Idiota”. Che possa salvare (o quantomeno aiutare) anche l’economia però non sembrano averlo capito in molti.Eppure, soprattutto in Italia, la Cultura è un tesoro in grado persino di rilanciare i bilancidi interi settori. Come dimostra la quinta edizione dello studio“Economia dellabellezza”, pubblicato da Banca Ifis e incentrato sull’analisi delle imprese italiane in quest’ottica. Quante sono capaci di sviluppare progetti culturali e artistici? E quanto questo può incidere sulla loro produttività?
Secondo i dati emersi, elaborati grazie alla piattaforma omonima fondata dal presidente di Ifis Ernesto Fürstenberg Fassio per valorizzare il patrimonio naturalistico, artistico e imprenditoriale nel nostro Paese,non così poco. Sono infatti732 le aziendeattive a livello nazionalesu questo fronte, che insieme riescono a generare un fatturato da 192 miliardi di euro l’anno.E hanno incrementato i propri utili di 1,4 volte in più rispetto alla media degli altri attori. Un nuovo asset strategico,che l’istituto di credito cerca di incoraggiare sostenendo le Pmi. Dopo aver aperto Ifis Art, il software integrato in cui sono raccolte tutte le progettualità avviate in circa quattro decenni. Tra le quali rientrano il recente acquisto e restauro dell’opera firmata Banksy “Migrant Child”, ora esposta nel neoacquisito Palazzo San Pantalon di Venezia, e di dodici busti in gesso del Canova, oltrealle collaborazioni messe in opera con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma e la Pinacoteca di Brera a Milano. Ma anche la partnership con l’Istituto Treccani e l’apertura del Parco Internazionale di Scultura nei ventidue ettari del giardino di Villa Fürstenberg a Mestre, dove hanno trovato alloggio 24 opere plastiche dei grandi maestri contemporanei, da Botero a Rivalta. Proprio il fronte bancario si è rivelato il più vivace nel dar vita a iniziative fondate sul binomio affari-cultura. Sedici i gruppi attivi nel settore in modo strutturato e continuativo, la cui produttività è cresciuta tre volte di più dei concorrenti che si sono limitati all’ambito finanziario.La maggior parte di essi lo ha fatto cercando lacostruzione di una relazione con il territorio e la comunità, altri (il 20%) hanno scelto questa via per coinvolgere gli stakeholder e una minoranza (12%) ha considerato l’universo culturale uno strumento di innovazione e stimolo creativo. Finanche per coinvolgere i dipendenti, obiettivo trasversale a varie filiere.«Economia della Bellezza ha dimostrato con numeri e testimonianze concrete, di piccoli e grandi imprenditori del nostro Paese,quanto sia vincente il binomio tra arte e cultura e attività d’impresa. Una unione che crea valore, economico e sociale, e che conferma il ruolo chiave della figura dell’imprenditore-mecenate per lo sviluppo virtuoso della collettività» ha detto Fürstenberg Fassio, che presenterà il report nel corso di una giornata studio dedicata. Il quadro tracciato dallo studio segnalainfatti come le 700 realtà che portano avanti questo tipo di investimenti riescano a generare un impatto positivotanto sui partner esterni quantosulla valorizzazione delle competenze nell’organico. Non a caso, oltre ai profitti crescono le retribuzioni, maggiori di circa duevolte rispetto agli altri contesti. Chi ci crede, dicono i dati, sono soprattutto le imprese con una grande storia alle spalle: più del 40% di esse è stata fondata tra gli anni ‘80 e ‘90 e il 6% è sul mercato da almeno 65 anni. In 8 casi su 10, registrano un fatturato che non supera i 250 milioni di euroe agiscono nei settori più vari. Moda, meccanica e agroalimentare i più impegnati, nonostante fra gli attivi rientrino anche automotive, tecnologia, sistema casa, manifattura, costruzioni e ingrosso.Distribuite in 18 regioni maconcentrate al Centro-Nord, specie nella virtuosa Lombardia in cima al podio con 227 imprese seguita da Veneto (123) ed Emilia-Romagna (112). Un discorso a parte l’Umbria, che emerge con una penetrazione del 18% sul tessuto imprenditoriale.Lo scopo principale? Per più della metà, sfruttare Arte e Cultura per consolidare illegame con i contesti locali.