Economia

LAVORO E SOCIETA'. Effetto crisi: il precario resta senza credito

Giuseppe Matarazzo venerdì 20 novembre 2009
«Grazie per aver contattato CartaSi ma non possiamo soddisfare le sua richiesta». Alessandro, 30 anni, non ha ottenuto la carta di credito. Perché ha un contratto di lavoro a termine. Così, almeno, gli hanno detto al call center. CartaSi, che da neanche un anno ha incominciato a emettere direttamente, decide infatti di rilasciare le card sulla base di molte variabili. Il precariato è una di queste. «Gli elementi che vengono presi in considerazione sono molti – spiegano –. La tipologia di contratto lavorativo è uno di questi».La crisi ha cambiato tutto. Dopo gli anni del credito facile, oggi le banche e gli istituti finanziari stanno stringendo i cordoni del credito su carte, ma soprattutto prestiti e mutui immobiliari. Pretendono certezze, che il precario evidentemente non dà. Come nel caso di Giorgio, 35 anni, un lavoro a tempo determinato con contratti rinnovati da ben tre anni, che si è visto negare il mutuo migliore dal Monte dei Paschi di Siena. Non sono bastati l’ipoteca sulla casa, il suo stipendio e nemmeno la garanzia della doppia pensione dei genitori. La giustificazione del rifiuto non fa una piega: «La sua condizione lavorativa non ci permette di avere sufficienti garanzie per la concessione del credito. I tempi sono quelli che sono e stiamo stringendo». Lo stesso è accaduto a un ricercatore universitario che lavora a Bruxelles, 4mila euro al mese di stipendio, ma anche lui con contratto a termine.Facendo un giro degli istituti di credito la sonata non cambia, con qualche eccezione da parte soprattutto delle banche dei territori. «Tutta colpa dei parametri di Basilea 2 – si difendono gli istituti –. Il sistema chiede più garanzie e noi dobbiamo adeguarci». Così i giovani con contratti di lavoro atipici devono accontentarsi di prodotti specifici che, invece di agevolarli, richiedono tassi più alti, particolari assicurazioni e la necessità di spalmare il mutuo anche in 40 anni. Un’eternità. Che spaventa il giovane: come farò a costruirmi una famiglia? Con quale fiducia guarderò al futuro? La questione è seria. La flessibilità sta cambiando le dinamiche della vita e del lavoro dei giovani, ma oggi mostra tutte le sue faglie. I figli della nuova frontiera non sono giovani rampanti pronti a saltare da un posto all’altro, ma precari dal futuro sempre più incerto. Tra l’altro i primi ad essere tagliati nei casi di riduzione del personale. «Sono l’uomo flessibile. Sono l’uomo invisibile», ironizzava il cantautore Carlo Fava. Finita l’era del credito per tutti, con oltre 2 milioni di giovani lavoratori «flessibili» e in un mercato che si basa sempre più su questo tipo di contratti, emerge l’evidenza di un paradosso: il mercato produce lavoratori precari con poche tutele e minori garanzie, esattamente quelle richieste dagli istituti di credito per finanziare i progetti di vita.È un cortocircuito che non riguarda solo le piccole imprese, ma anche i lavoratori più deboli. Il credito va a chi ha già una base solida, e la stretta riguarda chi ha bisogno di un prestito per (ri)mettersi in marcia. Dati «ufficiali» sul fenomeno non ce ne sono, è una rilevazione complicata. Perché i «no» delle banche restano in banca. Senza traccia. Nel silenzio. «Non abbiamo dati – conferma Giuseppe Piano Mortari, direttore operativo di Assofin –. Ma è logico ritenere che nel momento in cui il sistema pone più attenzione nella concessione del credito e i criteri siano più stretti, ci possano essere situazioni più a rischio e di difficoltà, come quella dei lavoratori atipici che danno minori garanzie».Da una ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con Prometeia, nell’ambito di un progetto finanziato dal ministero dell’Università, si evidenzia subito un dato. Sebbene i lavoratori cosiddetti atipici siano l’8% del totale, rappresentano solo il 3,6% degli «indebitati». Questo – rileva lo studio – porta a una duplice lettura: una inferiore capacità di accesso al credito, ma anche una rinuncia ad acquistare "a monte". Il ricorso al credito è più contenuto, ma anche più «responsabile». Nel 76,2% dei casi il precario chiede un prestito per far fronte a un imprevisto. Il 14,3% si indebita per finanziare un progetto familiare o personale particolarmente importante. Solo il 9,5% richiede un prestito per soddisfare un desiderio o per acquisti voluttuari. Di fronte alla crisi, inoltre, c’è un maggiore pessimismo: il 52% abbasserà i comportamenti di acquisto.Un’indagine che mostra sofferenza. «C’è un numero di famiglie sempre più alto che non riesce a pagare le rate e sostenere il debito – aggiunge Piano Mortari –. Le banche si fanno più prudenti. E così finanziamenti che fino all’anno scorso sarebbero stati concessi, ora vengono negati. Ma oggi più di ieri le banche dovrebbero essere maggiormente attente nel valutare i singoli casi». E l’uomo flessibile torna «invisibile». Con l’amara chiusura del cantautore: «Adesso che ci penso bene in tutta questa flessibilità, mi sembra che manchi qualcosa: quel mezzo chilometro di felicità».