Contratti. Sciopero di commercio e turismo per adeguare gli stipendi all’inflazione
Uno sciopero trasversale che riguarda oltre cinque milioni di lavoratori e coinvolge alberghi e supermercati, negozi di abbigliamento e ristoranti.
A tre giorni dal Natale due settori portanti della festa per eccellenza come quelli del commercio e del turismo si fermano per reclamare a gran voce il rinnovo dei contratti scaduti in media da tre anni. La protesta proclamata da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs sarà spalmata sulle 24 ore e sarà accompagnata da manifestazione in cinque piazze a Roma, Milano, Napoli, Cagliari e Palermo.
I negozi saranno comunque aperti, hanno assicurato le associazioni di categoria mettendo in campo uno sforzo supplementare per ridurre i disagi. Federdistribuzione ha garantito l’operatività nei punti vendita, quasi 20mila, delle principali catene di abbigliamento e food della distribuzione moderna.
Al cuore delle rivendicazioni dei sindacati ci sono gli aumenti retributivi necessari a contrastare l’inflazione che ha falcidiato stipendi già bassi in partenza, con sei lavoratori su dieci nel turismo e quattro su dieci nel commercio che risultano a basso reddito. Si tratta di ambiti dove il part-time involontario, la stagionalità e la precarierà sono molto diffusi: un lavoro povero per eccellenza con una elevata presenza femminile.
In ballo ci sono dieci contratti da rinnovare quattro nel macrosettore terziario e sei nel turismo, dove le trattative sinora si sono concentrate solo sugli aspetti normativi. Nel commercio l’anno scorso era stato raggiunto un accordo ponte con 350 euro di una tantum e 30 euro di acconto sui futuri aumenti contrattuali.
I sindacati chiedono di implementare quel “gettone” considerato insufficiente partendo dall’Ipca (indice armonizzato dei consumi) e applicando un semplice calcolo matematico per determinare gli aumenti salariali. Un’operazione che deve essere scollegata da qualsiasi rischio di depotenziare i diritti acquisiti come qualcuno vorrebbe.
Davide Guarini, segretario generale della Fisascat Cisl spiega che da alcune associazioni datoriali sono arrivate richieste irricevibili di una modifica all’impianto del contratto con conseguenze pesanti a livello retributivo e un aumento della precarizzazione e della stagionalizzazione. «Da Confcommercio sono arrivate richieste di una riduzione delle 14esima, dei permerssi retribuiti e degli scatti di anzianità che avrebbero ripercussioni sulla parte economica - sottolinea Guarini -. Sul fronte della flessibilità io credo che ce ne sia già abbastanza nel nostro settore considerando i tantissimi part-time involontari e i contratti stagionali». Il punto però per la Fisascat-Cisl è separare la questione economica da quella normativa. «Non ci possono essere scambi tra questi due aspetti - continua Guarini -. Sulla questione economica stiamo tenendo il punto: riteniamo che la base di partenza debba essere l’Ipca considerando però l’intero periodo di vacanza contrattuale, perché nel 2022 abbiamo avuto un aumento del 6,6% e nel 2023 uno stimato del 6,4%, quest’ultimo ancora in fase di assestamento. I lavoratori hanno subito un aumento del costo della vita del quale non si può non tenere conto».
La speranza dei sindacati è che la trattativa riprenda a gennaio per firmare il prima possibile il nuovo contratto. Fallito un tentativo in extremis di riavviare i negoziati a metà dicembre. Confcommercio e Confesercenti avevano proposto una trattativa ad oltranza a condizione di portare avanti un confronto “a tutto tondo”, vale a dire su retribuzioni e normativa, ma i sindacati lo hanno respinto. Le due associazioni datoriali replicano parlando di accuse strumentali e prive di fondamento e denunciando una sostanziale mancanza di dialogo da settembre. «Chiediamo un approccio improntato anche ad un recupero di produttività, misurabile come differenziale tra ore retribuite e ore lavorate, attraverso la revisione, la riscrittura, di parti del Ccnl ormai datate» dicono Confcommercio e Confesercenti chiedendo anche un aumento degli elementi di flessibilità e di stagionalità.
Più moderata la posizione di Federdistribuzione che ribadisce di essere disponibile ad una trattativa nel merito e di non aver mai pensato ad un taglio di 14esime e altre voci della busta paga. «Siamo consapevoli della pressione inflattiva subita dai lavoratori del settore - dice il presidente Carlo Alberto Buttarelli - anche se dobbiamo tenere conto della sostenibilità degli aumenti contrattuali e in prospettiva del rallentamento dell’inflazione». Dal punto di vista normativo, secondo Federdistribuzione, è necessario pensare ad un ridisegno del settore alla luce della profonda trasformazione in chiave digitale che è avvenuta negli ultimi anni. «Le mansioni negli anni sono cambiate all’interno dei punti vendita. Ci sono nuove professionalità mentre altre non esistono più e non possiamo non tenerne conto - continua Buttarelli -. Il tema della stagionalità anche nel retail è molto sentito perché ci sono dei picchi in alcuni periodi dell’anno che cambiano nei diversi ambiti geografici».