Iniziativa. Disabilità e lavoro: ecco tutti gli ostacoli da superare
L'inserimento lavorativo delle persone con disabilità è un diritto riconosciuto e tutelato, ma tutt'altro
che realizzato: lo dicono i dati, lo dicono le storie. Lo dice un convegno che è dedicato proprio a questo tema ed è frutto di un lavoro di ricerca, mirato a mettere a fuoco le normative, le risorse e le carenze di questo sistema: è il seminario Giovani, lavoro e disabilità. Percorsi di transizione scuola lavoro, che si svolge oggi a Roma, promosso da Inapp (Public polcy Innovation), insieme all'Università di Macerata.
Un'iniziativa che pone al centro i giovani con disabilità, che con fatica si affacciano al mondo del lavoro. Tra le tante domande a cui il seminario e i relatori provano a rispondere, ce n'è una fondamentale: quali sono le "determinanti sociali" nell'inserimento lavorativo delle persone con disabilità? L'inserimento lavorativo "in teoria". Ha provato a individuarle Daniela Pavoncello, ricercatrice dell'Inapp, che nell'esaminare le questione prende le mosse dalla Strategia europea per la disabilità, che si pone tra gli obiettivi «l'aumento del numero dei lavoratori disabili sul mercato del lavoro aperto, in particolare attraverso l'elaborazione di politiche attive dell'occupazione e il miglioramento dell'accessibilità ai luoghi di lavoro». Altro punto di riferimento teorico il secondo Programma d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, che nella Linea 4 avanza alcune proposte in materia di inserimento lavorativo, come l'insediamento presso il Miur di un corpo ispettivo che verifichi l'applicazione delle normative nazionali relative all'attivazione dei servizi di tutoring da parte delle Università; inserimento di specifiche misure per l'inclusione degli studenti con disabilità nel decreto delegato relativo ai percorsi di alternanza scuola-lavoro; l'applicazione uniforme sul territorio nazionale delle Linee guida per i tirocini di orientamento,
formazione e inserimento o reinserimento professionale.
Al di là della teoria e dei principi espressi in programmi e normative, però, esistono le reali difficoltà d'inserimento lavorativo dei giovani con disabilità. Per esaminarle e individuarne le radici, Pavoncelli prende in mano le ricerche Isfol da un lato, la letteratura scientifica sul tema dall'altro. Risultano, come principali «inibitori» del processo d'inclusione lavorativa, le «percezioni e atteggiamenti negativi dei datori di lavoro», gli atteggiamenti negativi da parte della famiglia, le difficoltà pratiche nello svolgere il lavoro, la mancanza di fiducia nelle proprie capacità, l'impatto dei farmaci e delle cure sanitarie, la scarsa fiducia e stima di sè, le inadeguate possibilità di accesso ai servizi di sostegno, i problemi di comportamento e di comunicazione, le difficoltà di produttività e gli atteggiamenti discriminatori verso disabili psichici.
Per quanto riguarda in particolare l'inserimento in azienda, Isfol (2014) ha individuato le principali criticità riscontrate dai lavoratori disabili, che possono essere distinte in quattro categorie. Primo, i limiti interni all'azienda stessa: tra questi, scarsa conoscenza delle patologie; impreparazione ad accogliere la persona con disagio mentale; scarsa condivisione e sostegno assenza di reti di sostegno per gestire il disagio scarsa propensione all'investimento. Secondo, l'atteggiamento nei confronti del lavoratore con disabilità mentale, che può manifestarsi in un comportamento eccessivamente compassionevole, o la scarsa valorizzazione delle potenzialità del soggetto, o la vigilanza eccessiva sul suo lavoro. Terzo, le motivazioni
dell'assunzione, che possono essere: pietismo, obbligo di legge o solidarietà. Quarto, i "limiti auto-percepiti": come l'ansia da prestazione, l'incapacità, la scarsa autostima, le aspettative grandiose o irrealistiche, i sentimenti di solitudine e abbandono, la destabilizzazione di fronte alla novità del lavoro.
Pavoncello fa poi ancora riferimento alla ricerca dell'Isfol per mettere a fuoco le maggiori difficoltà incontrate dalle aziende nell'inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica: al primo posto ci sono i "problemi di comportamento" del lavoratore, al secondo i suoi limiti produttivi, al terzo la necessità di supervisione. Alla domanda "quali condizioni potrebbero farle decidere di assumere una persona con un disturbo psichico?", la maggior parte delle aziende indica una maggiore conoscenza delle competenze del lavoratore, ma anche gli sgravi fiscali e il supporto continuativo dei servizi pubblici.
Lo studio condotto da Daniela Pavoncello per Inapp cerca poi di individuare alcune possibili soluzioni al
problema dell'inserimento lavorativo, evidentemente ancora irrisolto. Primo, la diffusione dell'informazione; secondo, «l'impegno combinato dell'azienda e dei servizi: l'apporto della rete territoriale - spiega Pavoncello - è un elemento che permette all'azienda di contenere i costi organizzativi dell'inserimento della persona con disabilità»; terzo, «far precedere all'intervento di tutoraggio vero e proprio una fase preliminare di identificazione e definizione, il più possibile condivisa (tra tutor, azienda e lavoratore) della natura ed
entità delle difficoltà rilevate, che possono essere legate a problematiche cliniche del lavoratore ma anche a cambiamenti o a "disturbi" nell'organizzazione del lavoro»; quarto, il supporto della famiglia; quinto, momenti di valutazione e verifica dell'andamento dell'inserimento, che coinvolgano tutti i soggetti della rete, dalla famiglia ai vertici aziendali, dai servizi alla comunità professionale.
Da ultimo, in sintesi, Pavoncello propone un «nuovo alfabeto per l'inclusione e la partecipazione lavorativa, comporto da otto parole chiave: responsabilità sociale, collaborazione (con i servizi socio-sanitari), flessibilità del lavoro, coinvolgimento dei colleghi, valorizzazione delle competenze individuali, supporto
di figure interne ed esterne all'azienda, personalizzazione del percorso d'inserimento».