Banche popolari. De Mattia: «Crescere e restare Coop? La soluzione c'è»
Quello che proprio non va giù ad Angelo De Mattia, già direttore centrale in Banca d’Italia, del decreto sulle popolari è che «ci sarebbero le modalità per migliorare l’alimentazione del loro patrimonio – esigenza reale per una sana e corretta gestione – senza buttare a mare i 2 cardini del cooperativismo: il principio 'una persona un voto' e la porta aperta a tutti i potenziali soci». Invece «si è scelta una strada che non è una riforma, ma la trasfor-mazione in un’altra cosa. Il governo Renzi pare aver dimenticato che parte del riformismo italiano passa per la cooperazione. E Padoan non può dire che lo scopo è garantire la contendibilità di tali banche, il fine resta sempre il miglior esercizio del credito e la tutela del risparmio». Che cosa si può fare ora? Ci sono già delle proposte emendative che sono il minimo indispensabile, dall’evitare forme di accaparramento delle deleghe nelle assemblee (magari consentendo anche la partecipazione in videoconferenza) al fissare un tetto al 3-4% per i diritti di voto che ci avvicina un po’ all’azionariato diffuso, dall’introduzione del voto plurimo alla costituzione a lato della Spa di una Fondazione per finalità mutualistiche.
Ma lei ha in mente anche altro? È ovvio che chi mette più soldi vuole avere un ruolo nella governance. Ricordo che Bankitalia, ai tempi di Draghi governatore, sosteneva a esempio la tesi di assegnare ai fondi d’investimento che rilevano quote di capitale un certo numero di posti nei Cda. E dal 2007 propongo lo scorporo d’azienda, sul modello delle Fondazioni ex bancarie: ossia il conferimento dell’attività creditizia a una banca spa, controllata a monte – magari anche con un anello intermedio, se serve – da una coop. Quali vantaggi avrebbe? La coop manterrebbe la finalità mutualistica, alimentata da parte degli utili, e avrebbe le prerogative del proprietario. Potrebbe così dare le linee d’indirizzo alla banca spa chiedendo, a esempio, che sia mantenuta una percentuale di credito al territorio di riferimento e alle sue Pmi. Vede un accanimento verso le popolari? Va detto che loro hanno difettato di rapidità. Già nel 1975, quando da membro della Vigilanza Bankitalia partecipai alla prima conferenza sulla cooperazione, si ragionava sulla necessità di riformarle. E negli ultimi anni, a partire dai casi finiti nell’occhio del ciclone come Bpm, ho sostenuto che questo mondo, per taluni versi benemerito, dovesse avviarsi verso un’autoriforma proprio per conservare i valori principali, prima che intervenisse qualcun altro. Bankitalia mette nel mirino anche le Bcc. C’è bisogno di chiarimenti. Immediati. Anche da Via Nazionale. Il governatore Visco ha detto che la forma giuridica delle Bcc è di «ostacolo » al loro rafforzamento e che vi sono spazi di aggregazione in gruppi. Ci dobbiamo aspettare ex abrupto un altro intervento legislativo? Per loro il coinvolgimento delle comunità locali è basilare. Intanto c’è un decreto in campo. Il testo sulle popolari è il modo peggiore per fare una riforma. E ancora più grave sarebbe la fiducia. Peraltro, faccio notare che ora giustamente l’attenzione è concentrata sui correttivi immediati, ma in futuro potrebbe essere presa la via del ricorso alla Consulta. Le ragioni non mancano, inclusa la ragionevolezza e la par condicio della misura che esclude dall’obbligo della trasformazione le coop di beni e servizi non bancari. Fu anche la via intrapresa dalle Fondazioni, quando Tremonti volle una legge su di esse e non fu accolta la mediazione del governatore Fazio. E l’indagine di Consob e Procura? I movimenti speculativi sono un fatto grave. I risultati possono influire o no sul decreto. Ma è essenziale che i riscontri arrivino prima che si concluda l’iter del decreto.