Economia

SCANDALO DERIVATI. Dal 2000 a oggi, 13 anni di shopping dissennato

Cinzia Meoni sabato 26 gennaio 2013
​Sono bastati quattro giorni per far tremare le fondamenta cinquecentesche del Monte dei Paschi. Ma la bomba dei derivati appena scoppiata, non è che l’ultima di una serie di scandali finanziari e operazioni dissennate che in meno di 20 anni dalla privatizzazione hanno ridotto una delle realtà più solide a livello europeo, in una banca in lotta per la sopravvivenza.La fine è nota: l’emergenza derivati rischia di costare al gruppo senese altri 700 milioni di euro e la fiducia degli investitori, già messa nel tempo a dura prova. Anche perché i noti derivati dai nomi esotici (Alexandria, Santorini, Patagonia...), utilizzati per abbellire i bilanci e tenuti per anni nascosti, si inseriscono in una serie di operazioni quanto meno dubbie che hanno caratterizzato gli ultimi 13 anni di storia di dissesti del Monte in un groviglio di interessi politici, finanziari e locali. E quella di Giuseppe Mussari, dimessosi martedì dal vertice dell’Abi, non è stata la prima testa a cadere. Le origini di tutti i mali vengono fatte risalire dagli esperti all’inizio del Millennio, con la conquista di Banca del Salento (divenuta poi Banca 121 e oggi ribattezzata Mps Banca Personale) e l’ingresso del Monte nell’universo della finanza tossica. Per Banca 121 furono pagati 1,3 miliardi di euro. Un’enormità, visto che le altre offerte raccolte dal consulente Mediobanca, secondo le testimonianze di allora, superavano di poco 400 milioni di euro circa (da parte di Ras e di San Paolo). Non solo Vincenzo De Bustis, che aveva condotto al successo la banca multicanale leccese, conquistò la direzione generale di Mps. Con Banca 121 irruppero nelle tradizioni secolari del Monte i prodotti di finanza strutturata destinati al pubblico risparmio: My Way, 4you, Btptel, Btpindex e Btponline. Tempo pochi mesi, e la caduta dei mercati finanziari fece scoppiare la bolla con le inevitabili ripercussioni di numeri e di immagine per Rocca Salimbeni. In tutto furono coinvolti, secondo alcune stime, 170mila risparmiatori che improvvisamente si accorsero di aver sottoscritto non dei piani di accumulo di capitale a basso rischio, ma contratti di finanziamento a rimborso rateale finalizzato all’acquisto di prodotti ad alta leva finanziaria. Fioccarono denunce, ricorsi e multe. A suo tempo la Procura di Trani aveva ipotizzato che l’iperattività della Banca del Salento a congegnare e collocare simili prodotti fosse servita a sostenere le trattative per la cessione a Mps. Un’iperattività costata al Monte ulteriori milioni per chiudere i contenziosi, a De Bustis la poltrona e ad Antonio Fazio, all’epoca governatore della Banca d’Italia, l’iscrizione al registro degli indagati (posizione poi archiviata).Il colpo di grazia è poi arrivato da un’altro shopping dissennato: l’acquisizione, eccessiva per multipli e dimensioni di Antonveneta nel 2007. A guidare l’operazione c’era Mussari, all’epoca presidente della Fondazione. Rocca Salimbeni riconobbe per la concorrente del Nord Est 10 miliardi, quando in Borsa a sua volta non superava i 9. Senza considerare che Antonveneta era stata acquisita solo pochi mesi prima dal Santander per soli 6,6 miliardi. Un acquisto per di più avvenuto in assenza di due diligence. Anche su questa operazione e sui misteri che ancora vi si celano, è stata aperta un’inchiesta. Da allora si sono susseguiti senza tregua cessioni e aumenti di capitale ma, nonostante questo, Mps non si è più completamente risollevata.