Economia

Lavoro. Crescono gli occupati a rischio povertà

Redazione Romana sabato 17 marzo 2018

In Italia quasi un occupato su otto è a rischio povertà: il lavoro, infatti, secondo gli ultimi dati pubblicati dall'Eurostat sui lavoratori poveri, spesso non basta a garantirti condizioni economiche adeguate, soprattutto se legato a un contratto precario o part time. Nel nostro Paese nel 2016 i lavoratori a rischio povertà erano l'11,7%, un dato tra i più alti in Ue (fanno peggio solo Romania, Grecia, Spagna e Lussemburgo) che in media segna un 9,6%. Il rischio - spiega Eurostat - è influenzato fortemente dal tipo di contratto con un dato complessivo doppio per coloro che lavorano part time (15,8%) rispetto a quelli che lavorano a tempo pieno (7,8%) e almeno tre volte più alto nel complesso tra coloro che hanno un impiego temporaneo (16,2%) rispetto a quelli con un contratto a tempo indeterminato (5,8%). Gli uomini sono più a rischio povertà (10%) rispetto alle donne (9,1%). Negli ultimi anni il rischio povertà per le persone che lavorano è cresciuto costantemente. Per l'Italia dal 2010 è aumentato di 2,2 punti percentuali.

A rafforzare questi dati anche lo studio Lavoro: qualità e sviluppo elaborato dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Peggiora, infatti, la qualità dell'occupazione in Italia e a fine 2017 è stato toccato il record delle persone in disagio che sono oltre 4,5 milioni. Nel quarto trimestre 2017 le ore lavorate (dati conti economici Istat) sono ancora inferiori del 5,8% rispetto al primo trimestre del 2008 e le unità di lavoro sono il 4,7% in meno sempre relativamente allo stesso periodo. Si tratta di -667 milioni di ore lavorate e di quasi 1,2 milioni di unità di lavoro in meno rispetto al primo trimestre 2008. «Nell'Unione Europea a 15 - si legge nello studio - oltre all'Italia, anche Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda presentano nel quarto trimestre 2017 un numero di ore lavorate inferiore rispetto ai livelli che precedono la crisi (primo trimestre 2008). In Italia, però, lo scarto tra le due variazioni (occupati, ore lavorate), entrambe negative, è particolarmente marcato. E questo andamento è legato al peggioramento della qualità dell'occupazione nel nostro Paese». Negli ultimi cinque anni (2013-2017), infatti, prosegue lo studio, «sono aumentati fortemente i part-time involontari e, soprattutto negli ultimi due, le assunzioni a tempo determinato, portando l'area del disagio (attività lavorativa di carattere temporaneo oppure a part-time involontario) a quattro milioni 571mila persone, il dato più alto dall'inizio delle nostre rilevazioni». Non solo, un'analisi più approfondita delle assunzioni a tempo determinato (Inps, Osservatorio Precariato), dimostra un peggioramento di questa condizione di lavoro già precaria: «Aumenta anche fra questi lavoratori il part time (+55% fra il 2015 e il 2017). Continua a crescere il numero di dipendenti con contratti di durata fino a sei mesi, che sono passati da meno di un milione nel 2013 a più di 1,4 milioni nel 2017» (dati Eurostat, primi tre trimestri di ciascun anno).

Per il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, «il numero totale degli occupati, pur importante, rappresenta un'immagine molto parziale della condizione del lavoro in Italia, dove la qualità dell'occupazione è in progressivo e consistente peggioramento. È evidente dai dati, che la ripresa non è in grado di generare occupazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, con una maggioranza di imprese che scommette prevalentemente su un futuro a breve e su competizione di
costo. Come pure è evidente che è necessario intervenire sulle attuali norme legislative che regolano il mercato del lavoro che
incidono in modo negativo sulla qualità del lavoro stesso».

«Incrementare gli investimenti, rafforzare gli ammortizzatori, riordinare le tipologie contrattuali»: sono le tre direttrici che la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, individua per un mercato del lavoro che, a dieci anni dall'inizio della crisi, è segnato da «debolezza strutturale e precarietà», così come emerge dal rapporto della Fondazione Di Vittorio. «Per generare nuove opportunità di lavoro - spiega la dirigente sindacale - è indispensabile favorire gli investimenti, a partire da quelli pubblici». Inoltre «servono ammortizzatori sociali universali. Il ricorso al loro utilizzo, dopo aver registrato un picco negli anni acuti della crisi, oggi è pari al 2008, un dato condizionato anche dai cambiamenti che ne hanno determinato la diminuzione della capacità di copertura. Riteniamo indispensabili strumenti che consentano effettivamente di accompagnare i processi di riqualificazione e riorganizzazione del lavoro con la garanzia del mantenimento dell'occupazione e del reddito per i lavoratori». «Infine - conclude Scacchetti - è necessario riordinare le tipologie contrattuali, è importante favorire i contratti a tempo indeterminato introducendo vincoli di deterrenza all'utilizzo di quelli a termine a partire dal ripristino delle causali. Nel lavoro che cambia, per trasformazioni tecnologiche e di mercato, la centralità dell'azione pubblica non può non essere quella di ridurre i tassi di disoccupazione e favorire il lavoro dignitoso».