Inflazione. L'industria del tonno alla prova dell'inflazione
Un'addetta mette i tranci di tonno in barattolo
Del tonno non si butta via niente. Mani esperte, specialmente di donne, sanno come pulire e selezionare i tranci, tagliarli e inscatolarli. Un mix di abilità che si tramanda di generazione in generazione. Gli scarti non esistono perché tutto ciò che non finisce in scatola o in barattolo può essere usato per l’alimentazione degli animali sotto forma di farina o nella produzione di biogas. La tecnica tradizionale di pulitura a mano unita a un’alta automazione fanno dell’industria delle conserve ittiche un’eccellenza Made in Italy. Il nostro Paese è il secondo produttore europeo di tonno in scatola dopo la Spagna. L’Ancit (Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare) mette in guardia, però, sui rischi legati a caro prezzi, inflazione e inarrestabile aumento dei costi produttivi.
Una scatoletta di tonno può sembrare un prodotto estremamente semplice. Dentro c’è solo pesce, sale e olio, ma dietro questa apparenza si nasconde una grande complessità, a partire dalla pesca per finire alla distribuzione. Il tonno usato nelle conserve, sia pinne gialle che striato, non si alleva. Viene catturato nei vari mari che attraversa, prevalentemente nel Pacifico. È apolide, ma qualsiasi Paese può appropriarsene: basta che a pescarlo sia una nave battente la propria bandiera. L’approvvigionamento, però, è reso più complicato dal surriscaldamento dei mari. Le sardine vanno sempre più giù per trovare acque fredde e i tonni, loro predatori, le seguono là dove le reti non possono arrivare.
A tutte queste difficoltà adesso si è aggiunto l’impatto dei crescenti costi produttivi. È qui che l’Ancit vede l’origine del calo di produzione italiana, diminuita nel 2022 rispetto agli anni precedenti, seppur rimasta positiva rispetto al pre-Covid. Le aziende del settore hanno subito in primis il rincaro dei materiali di imballaggio (lattine, vasetti in vetro e carta), realizzati da filiere altamente energivore. L’aumento della spesa per l’energia elettrica ha avuto un impatto anche diretto. Nel processo produttivo, infatti, vengono usati grandi celle frigorifero, forni a vapore e autoclavi per la sterilizzazione: tutti macchinari che consumano molta energia. A incidere, poi, è il costo dell’olio di oliva, fondamentale per tutte le conserve ittiche: dai tonni alle acciughe, gli sgombri, le sardine e i salmoni. Lo scarso raccolto di olive, dovuto alla siccità in Europa, ha fatto innalzare il prezzo dell’olio, che al momento oscilla tra i 6 e i 9 euro al chilo.
«Il fatturato è aumentato perché guidato dall’inflazione – commenta Simone Legnani, presidente di Ancit – . Benché il nostro settore si sia comportato meglio di altri, permane forte la preoccupazione che il 2023 confermi le tendenze del 2022. Il panorama produttivo è diversificato e, solo per il tonno all’olio d’oliva, i costi di produzione sono aumentati mediamente del 20-30%; di questi, solo la metà è stata assorbita dalla grande distribuzione con relativa contrattazione».
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I conservieri ittici confidano di non far mai mancare il tonno in scatola sulle tavole degli italiani, facendosi carico di gran parte dell’aumento dei costi di produzione e contenendo al minimo le ricadute sul consumatore, ma chiedono un aiuto più consistente da parte delle istituzioni. «L’industria delle conserve ittiche viene considerata come parte di quella primaria del settore della pesca e quindi, a fronte della crisi determinata prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, ha ricevuto aiuti di Stato molto inferiori ai ristori dati ad altri settori manifatturieri», spiega invece il vicepresidente dell’Ancit Giovanni Battista Valsecchi.
Il settore chiede, dunque, di poter beneficiare degli stessi aiuti previsti per altre imprese, come quelle del settore agricolo. Chi realizza conserve di pomodoro, per esempio, usa lattine proprio come chi inscatola il tonno, ma mentre il primo ha avuto degli aiuti di Stato, che mirano a coprire anche l’aumento del costo dell’alluminio, per il secondo non è stato così. «Un trattamento che penalizza fortemente il settore della pesca», conclude Valsecchi. Il rischio più grande è che a pagarne le conseguenze siano infine non solo i consumatori, già schiacciati dall’inflazione e l’aumento del costo medio del carrello della spesa, ma anche gli operai altamente specializzati nelle tecniche di lavorazione del tonno. Sarebbe una grave perdita sia in termini economici che di patrimonio storico e culturale.