Devastazioni. In Mozambico l'energia che serve all'Europa la pagano (cara) i poveri
Mozambicani della provincia di Capo Delgado fuggiti dalla loro casa per i combattimenti nelle zone interessante allo sfruttamento del gas
«La vita delle comunità nel nord-est del Mozambico sta peggiorando rapidamente con un processo di reinsediamento incompiuto e incerto: non tutte le persone hanno ricevuto una casa e nessuno ha ricevuto i 'machambas', i terreni agricoli promessi dalle autorità. Inoltre gran parte della popolazione ha perso l’accesso diretto al mare».
Kete Fumo, attivista sociale mozambicana, descrive una situazione catastrofica provocata dal più grande investimento energetico nel continente africano.
Un gruppo di giganti del petrolio con a capo la francese TotalEnergies, seguita dalle statunitensi Anadarko Petroleum e ExxonMobil, oltre all’italiana Eni, sta cercando di rilanciare l’esplorazione e lo sfruttamento del Progetto di gas naturale liquefatto (lng) del Mozambico.
Dopo la grande scoperta nel 2010 di ingenti risorse nelle acque settentrionali del territorio mozambicano, nel 2024 dovrebbe iniziare la produzione di 65 trilioni di piedi cubi di lng.
Verso la fine del 2017, però, è scoppiato un conflitto armato nella regione che ha causato migliaia di morti. «Il progetto si impegna a collaborare con le comunità mozambicane e i funzionari governativi per sviluppare nella sicurezza queste risorse sottolinea il comunicato della TotalEnergies -. Vogliamo proteggere l’ambiente, incoraggiare ulteriori investimenti esteri e contribuire alla stabilità sociale ed economica a lungo termine del Paese».
Per Kete questi propositi non potrebbero essere più lontani dalla realtà. «Comunità di pescatori e agricoltori hanno perso i loro mezzi di sussistenza ancora prima che una particella di gas venga prodotta», ribatte l’attivista che lavora dal 2018 con Justiça Ambiental!/Friends of the Earth Mozambique.
«La guerra civile scoppiata nella provincia di Cabo Delgado ha inoltre provocato quasi un milione di sfollati e profughi. E sebbene il governo parli di terrorismo islamico – continua Kete –, stiamo assistendo a una rivolta legata alla disuguaglianza sociale, agli alti livelli di disoccupazione, e alla mancanza di infrastrutture per la salute e l’istruzione».
L’intervento dell’esercito ruandese, assistito da soldati sudafricani e mercenari di varie nazionalità, ha ripristinato una certa sicurezza dopo quasi cinque anni di ribellione. La situazione resta comunque ancora molto tesa e la popolazione fatica a tornare nei propri villaggi abbandonati a causa della guerra.
«Il governo mozambicano, noto per vari scandali di corruzione, si è altamente indebitato per proteggere militarmente le infrastrutture delle aziende energetiche – precisa Kete –. Lo sfruttamento del gas avverrà inoltre in una zona che secondo l’Unesco fa parte delle più ricche riserve della biosfera mondiale».
Il Mozambico ha subito una serie di disastri naturali negli ultimi anni causati dal cambiamento climatico: siccità, tempeste tropicali e cicloni hanno provocato migliaia di morti e profughi. Gli ambientalisti affermano che il progetto di lng mozambicano, in un periodo in cui si parla di 'transizione energetica', potrebbe portare il Paese ad «aumentare del 40 per cento le sue emissioni di CO2» nell’atmosfera.
Sebbene le società abbiano redatto numerosi studi sull’impatto ambientale che lo sfruttamento del gas mozambicano potrebbe causare, prevale un grande scetticismo tra organizzazioni che lottano contro la devastazione naturale come Friends of the earth in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Recommon in Italia.
Dal Mozambico è stata infatti lanciata la 'Say no to gas campaign' per contrastare i continui investimenti nell’energia fossile da parte di società straniere con l’approvazione dei governi africani. Dopo essere stata più volte nelle aree maggiormente colpite dalle violenze, l’attivista mozambicana si trova da alcuni giorni a Roma per portare il suo messaggio alle varie aziende italiane coinvolte nel progetto in corso nel suo Paese. «Sto incontrando diversi attivisti e media internazionali - conclude Kete -. Vogliamo fermare o almeno ritardare i piani nocivi dei giganti dell’industria estrattiva».