Economia

Contratti. Crescono i lavoratori coperti da Ccnl non scaduti

Maurizio Carucci venerdì 11 ottobre 2024

Nasce un nuovo contratto intersettoriale

Al 30 giugno 2024 i lavoratori dipendenti con contratto non scaduto fanno un balzo in avanti: da 5.828.481 a 7.939.646, con un incremento semestrale del 36%. Viceversa, i lavoratori dipendenti con Ccnl scaduto si sono ridotti nel medesimo periodo del 25%, passando da 8.564.606 a 6.443.387. È quanto emerge dalla rilevazione semestrale del Cnel. «La vitalità della contrattazione nel primo semestre 2024 ha portato a un aumento significativo dei Ccnl in vigore. Si tratta di oltre due milioni di lavoratori dipendenti. Un risultato veramente positivo, da salutare con grande soddisfazione e che comporta un aumento significativo di potere d'acquisto per questi lavoratori», ha detto il presidente del Cnel Renato Brunetta. Nello specifico, con la tornata di negoziazione contrattuale del primo semestre dell'anno, sono stati depositati presso l'archivio del Cnel 22 accordi di rinnovo e 16 accordi economici con un adeguamento della retribuzione che ha riguardato 750.506 aziende, per un totale di 4.837.339 lavoratori dipendenti. Tra le novità economiche e normative più importanti introdotte dal rinnovo degli accordi nazionali emerge una maggiore sensibilità a previdenza integrativa, genitorialità, pari opportunità e fanno la comparsa le prime forme di regolazione dell'uso dell'intelligenza artificiale nelle aziende del settore.

Tuttavia - secondo la Cgia - a fine giugno erano in attesa di rinnovo 4,7 milioni di dipendenti (pari al 36% del totale). Sebbene il dato sia in calo rispetto allo stesso mese del 2023 (52,8%), la quota di dipendenti privati in attesa di rinnovo è invece pari al 18,2%. Non solo. I mesi di attesa per ottenere il rinnovo sono 23,2, ma scende a 4,2 mesi se calcolata sul totale dei dipendenti privati. Insomma, dalla lettura di questi parrebbe che i mancati rinnovi contrattuali interesserebbero più il pubblico, cioè lo Stato, che il privato. È molto difficile individuare le cause che non consentono la sottoscrizione del rinnovo entro la scadenza prevista dal contratto nel settore privato: è verosimile ritenere che in molti casi ciò sia riconducibile alla difficoltà riscontrata dalle parti sociali a trovare un accordo sugli aumenti economici che vada bene sia al Nord che al Sud. Insomma, non essendo sviluppata sufficientemente la contrattazione di secondo livello - che per sua natura è in grado di premiare la produttività aziendale/territoriale e definire le contromisure per contrastare l'inflazione che, come sappiamo, ha tassi differenziati tra regioni e regioni e tra aree centrali e aree periferiche - è sempre più difficile raggiungere una intesa sugli aumenti retributivi di settore entro la scadenza prevista per un contratto che vada bene da Vipiteno fino a Lampedusa.

Il nuovo modello di contratto intersettoriale

Confimi Industria e Confsal hanno presentano il primo Ccnl Intersettoriale dedicato al settore manifatturiero. Questo accordo rappresenta una svolta storica per le relazioni industriali, coinvolgendo numerosi comparti produttivi, tra cui tessile, chimico, plastico, gomma, alimentare e legno-arredo. Il contratto – siglato dalle parti lo scorso 21 marzo e che esclude dalla contrattazione i settori della meccanica e dell’edilizia che Confimi Industria sottoscrive con altre associazioni sindacali - introduce una serie di innovazioni significative che definiscono nuovi standard per la gestione delle relazioni industriali rispondendo a logiche innovative già introdotte dalle principali economie manifatturiere d’Europa e mirano a migliorare le condizioni lavorative dei propri collaboratori, sia da un punto di vista economico che relazionale. Scendendo nel dettaglio il Contratto Intersettoriale sottoscritto da Confimi Industria e Confsal prevede, tra le altre cose:

Il nuovo Ccnl, firmato da Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria (45mila imprese, 650mila lavoratori, 85 miliardi di fatturato aggregato e oltre 50 sedi operative in Italia) e Angelo Raffaele Margiotta, segretario generale di Confsal, Confederazione Generale dei Sindacati Autonomi dei Lavoratori, segna una svolta anche in termini di contrattazione flessibile, confermando la struttura a due livelli, di sicurezza sui luoghi di lavoro, con un forte impegno nella prevenzione e nella formazione, sostenuta da investimenti nelle certificazioni Mog-Sgsl e nella tutela legale dei preposti.

La contrattazione di secondo livello

Nell'analisi statistica sulla contrattazione decentrata realizzata dall'Istat, emerge che il 23,1% delle imprese con almeno dieci dipendenti del settore privato applica un contratto decentrato. Si stima che i lavoratori coinvolti sarebbero il 55% dei dipendenti totali delle imprese con almeno dieci addetti, pari, in termini assoluti, a 5,6 milioni di lavoratori. L'Istat, comunque, precisa che questi lavoratori non possono essere considerati come la platea esatta dei dipendenti coperti dalla contrattazione decentrata, in quanto, non tutti gli addetti potrebbero essere interessati dall'applicazione di questa misura.

«Nella contrattazione nazionale abbiamo bisogno allargare la contrattazione di secondo livello e dobbiamo essere presenti nei luoghi di lavoro. Negli anni il lavoro è stato precarizzato e questo ha ridotto lo spazio contrattuale e le persone che rappresentiamo. I cambiamenti nella produzione e le nuove tecnologie stanno cambiando il mondo del lavoro. Nel 1993 erano 150 i contratti e oggi sono quasi mille. E non ci sono solo i contratti pirata, ma anche contratti che possono essere applicati a persone che lavorano nello stesso posto e che fanno lo stesso lavoro. E quindi persone che lavorano sotto lo stesso tetto e lo stesso lavoro ma non hanno gli stessi diritti e tutele. C'è una proliferazione dei contratti e quindi è necessaria la misurazione della rappresentanza.
Basta che ci sono due persone che ci mettono d'accordo, uno che si dice sindacato e un imprenditore e presentano contratto nazionale al Cnel». Lo sottolinea il leader della Cgil Maurizio Landini.

I dati sui 2,9 milioni di dipendenti, spiega la Cgil, riguardano i contratti che accedono alla detassazione e decontribuzione per il premio di risultato e che sono raccolti dal ministero del Lavoro. «Sia la diffusione dei premi di risultato, sia il welfare aziendale - sottolinea la segretaria confederale Francesca Re David - sono concentrati prevalentemente nelle aziende che storicamente fanno contrattazione, la cui platea per altro si è ristretta a causa delle esternalizzazioni, lasciando fuori ad esempio tutti coloro che partecipano a quella catena del valore ma non sono dipendenti dell'azienda madre. Quindi i governi hanno dato le incentivazioni fiscali prevalentemente alle aziende dove la contrattazione era già attiva paradossalmente aumentando le differenze fra condizioni.La contrattazione diminuisce via via che si scende a sud e via via che cala la dimensione delle imprese. Solo sostenendo il Contratto nazionale si può avere un vero effetto redistributivo verso il mondo del lavoro, assegnando alla contrattazione di secondo livello il proprio fondamentale compito integrativo e non certo sostitutivo o complementare».

Il Rapporto analizza 1.924 contratti firmati tra il 2021 e il 2023 segnalando che il 10,5% è territoriale, l'88,2% è aziendale e appena l'1,3% è di "Altro tipo". La maggior parte degli accordi territoriali (202 nel complesso) riguarda la Toscana, anche se la zona geografica che conta il maggior numero di contratti è il Nord-Ovest, in particolare grazie al contributo della Lombardia. Oltre la metà dei territoriali riguarda l'edilizia, perché nel corso del 2022 ci sono stati i rinnovi dei contratti provinciali, ma una quota consistente di questi accordi riguarda anche l'agricoltura. I contenuti più trattati nei territoriali sono quelli legati a bilateralità, trattamento economico e orario di lavoro.

I contratti aziendali sono 1.697 divisi tra: gruppi (34%), aziende (59%) e unità produttive (7%). Negli accordi analizzati sono rappresentati territori, settori e tipologie di aziende molto vari, ma in generale vi è una maggiore incidenza di aziende di medie e grandi dimensioni, soprattutto situate al Centro-Nord e spesso classificati come "multiterritoriali/nazionali" (ovvero con unità produttive distribuite in diverse regioni del Paese).

Gli accordi analizzati nel rapporto interessano in tutto 896 soggetti tra imprese proprie, istituzioni pubbliche e altri enti di varia natura. La forma più diffusa è la Società per azioni, che rappresenta oltre la metà delle aziende; seguono Srl (30%) e Società cooperative (7,1%). Oltre il 76% delle aziende sono italiane. La dimensione delle aziende è piuttosto alta e conta in media circa 1.460 addetti, e in effetti le medio grandi imprese (tra 250 e 999 addetti) insieme alle grandi imprese (oltre 1.000 addetti) raccolgono da sole oltre 50% dei casi.

L'importo medio del premio rilevato (inteso come valore massimo raggiungibile) negli accordi per quanto riguarda il trattamento economico è pari a 1.692 euro, registrando un aumento rispetto alle due rilevazioni precedenti (1.409 euro per il triennio 2019-2021), seppur con differenze significative tra i settori.