L'Italia è uscita ufficialmente dalla Nuova Via della Seta con una nota consegnata a Pechino nei giorni scorsi. Il ministero degli Esteri ha inviato una lettera nella quale viene resa esplicita la volontà italiana, più volte già preannunciata dal governo Meloni, di non estendere la durata del memorandum oltre la scadenza, fissata per il 22 marzo 2024. Il memorandum con l'Italia - unico Paese del G7 ad aderire - era stato firmato dal primo governo Conte nel 2019 e aveva la durata di cinque anni. L'esecutivo doveva decidere se rinnovarlo o meno entro la fine di quest’anno. La notizia, anticipata dal Corriere della Sera, non è stata commentata da Palazzo Chigi.
Cos’è la Nuova via della Seta? Si tratta di un insieme di progetti pagati dal governo di Pechino e finalizzati alla realizzazione o al potenziamento di infrastrutture commerciali - strade, porti, ponti, ferrovie, aeroporti - e impianti per la produzione e la distribuzione di energia e per sistemi di comunicazione. Una sorta di piano globale che sulla carta potrebbe veicolare un terzo di tutto il commercio mondiale e coinvolgere il 60% della popolazione del pianeta.
Quando è stata "aperta"? L'iniziativa, fortemente voluta da Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, è stata lanciata nel 2013 ed è uno dei cardini del piano del Dragone per rafforzare la propria economia attraverso una rete di infrastrutture fra tre continenti che favorisca gli scambi.
Perché si chiama così? Si tratta dell'espressione coniata dalla stampa italiana, ricondando i viaggi di Marco Polo, per la Belt and Road Initiative (BRI).
Quali operazioni ha finanziato? Tra le operazioni più clamorose, avviata nel 2016, l’acquisizione da parte dell'azienda cinese Cosco, del 51% della società che gestisce il porto greco del Pireo ad Atene. Pechino ha messo in campo 1.900 miliardi di euro, tramite la Export-Import Bank of China, per spostare l’asse economico verso Oriente.
Dove passa la Nuova via della Seta? Fisicamente la Belt and Road Initiative si snoda attraverso sei grandi corridoi commerciali e tre continenti, Asia, Africa ed Europa. Previsto anche un “passaggio” in Italia, nel Nord-Est, con il coinvolgimento del porto di Trieste.
L'Unione Europea ha aderito? No. A livello internazionale, diversi Paesi, capitanati da Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, hanno apertamente dichiarato di non essere favorevoli alla BRI e la stessa Unione Europea aveva chiesto all'Italia prudenza sul contenuto degli accordi che poi il governo Conte ha deciso di firmare.
Perché il governo Meloni ha deciso di uscire dal progetto? Si tratta di una scelta politica ed economica. La decisone era attesa già dall’estate, quando ne parlarono la premier Giorgia Meloni e il presidente Usa Joe Biden. Il ministro Tajani ha spiegato che non ha portato i risultati che l'Italia si aspettava, mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha più volte sottolineato di non aver condiviso l'adesione. La mossa è stata preceduta da una missione in Cina del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia in estate e a seguire dalla visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani: incontri in cui è stata confermata l'intenzione di coltivare il partenariato strategico tra i due Paesi e in cui sono stati avviati fra gli altri i passi preparatori per la visita del capo dello Stato Sergio Mattarella l'anno prossimo in Cina.
Il memorandum ha portato dei vantaggi all’Italia? Dei venti miliardi di affari prospettati nel 2019, quando Giuseppe Conte e Xi firmarono a Villa Madama il memorandum, poco o nulla è arrivato. Lo stesso Xi, celebrando i dieci anni dell’iniziativa, ha rivisto l’impianto del suo piano, abbandonando i grandi progetti in favore di interventi più mirati.