Economia

Auto. I cinesi vogliono Fiat-Chrysler

Pietro Saccò lunedì 14 agosto 2017

Il muso del Ram 1500, il modello più venduto del gruppo Fca

I cinesi di Great Wall Motors hanno fatto un’offerta per prendere il controllo di Fiat Chrysler Automobiles, ma la proposta – di poco sopra il valore di Borsa del gruppo – è stata rifiutata perché troppo bassa. Con l’indiscrezione riportata dalla rivista di settore Automotive News e non formalmente smentita da Fca inizia la possibile seconda grande svolta di quella che una volta era la Fabbrica Italiana Automobili Torino e che negli ultimi cinque anni si è trasformata, con Sergio Marchionne al volante, in un gruppo italo-americano basato nei Paesi Bassi ma residente nel Regno Unito per quanto riguarda il fisco.

Sia chiaro: siamo ancora al livello di indiscrezioni giornalistiche, per quanto Automotive News sia tradizionalmente un magazine molto informato su quanto succede nell’industria dell’auto. Le fonti parlano di incontri tra i manager delle due aziende negli uffici di Auburn Hills, base americana di Fca, e Baoding, quartier generale di Great Wall. Gli investitori ci credono: le indiscrezioni hanno fatto guadagnare il XX% al titolo Fca, portando la capitalizzazione del gruppo da 15 a 16 miliardi di dollari.

Con il piano “Made in China 2025” il regime cinese si è dato l’obiettivo di alzare l’efficienza e la qualità industriale del paese. Se necessario anche procurandosi dall’estero le tecnologie che occorrono per sostenere il progresso delle fabbriche. Un’operazione come l’acquisizione di Fca, che oggi ha la sua principale forza industriale nei pick up a marchio Ram e nei fuoristrada Jeep, si inserirebbe perfettamente in questa strategia. I marchi Maserati e Alfa Romeo resterebbero invece esclusi dalla trattativa: come già fatto con Ferrari, il gruppo Fca potrebbe separare il marchio sportivo e quello del lusso per valorizzarli al meglio come aziende indipendenti.

Dal punto di vista di Fca l’operazione potrebbe chiudere il cerchio. Sono ormai diversi anni che Marchionne sta cercando alleati per dare al gruppo quella forza industriale e finanziaria che occorre per le sfide tecnologiche – a partire dall’auto elettrica – che stanno cambiando il futuro del settore. L’industria dell’auto, aveva spiegato il manager in un’emblematica presentazione agli analisti nella primavera del 2015, si sta finanziariamente dissanguando spendendo ogni anno più di 100 miliardi di euro per sviluppare nuove componenti dei quali, per almeno la metà, i clienti nemmeno si accorgono. Questo tipo di spesa ha senso solo per gruppi enormi, che possono ammortizzare gli investimenti grazie ai guadagni dell’economia di scala: allearsi, quindi, è l’unica scelta.

Tutti i possibili partner, da General Motors a Peugeot, Citroën hanno preso strade diverse da quello di Fca, che a questo punto potrebbe valutare sul serio la cessione del gruppo a un soggetto con le spalle più larghe della Exor, la finanziaria degli Agnelli che con una quota del 25% è l’azionista di riferimento dell’azienda.

Se l’interesse dei cinesi è reale il problema non è certo il prezzo: dopo il rialzo di ieri la capitalizzazione complessiva di Fca è di poco superiore ai 16 miliardi di dollari. Anche offrendo un ricco “premio” agli azionisti la spesa rientrerebbe abbondantemente nel budget cinese: secondo un report dello studio legale britannico Linklaters nel prossimo decennio i cinesi sarebbero pronti a spendere 1.500 miliardi di dollari in acquisizioni all’estero.

Il principale ostacolo che saranno destinati a incontrare sarà l’ostilità dei governi europei e americani, che stanno lavorando a una stretta sulle scalate sgradite. Ieri Donald Trump ha battuto il primo colpo avviando le indagini sui trasferimenti forzati di tecnologie dalle aziende americane a quelle cinesi. A settembre sarà l’Europa ad annunciare nuovi strumenti regolatori per impedire acquisizioni straniere in ambiti sensibili. Su questo punto, Germania, Francia e Italia avrebbero trovato una certa unità.

Essendo Fca un po’ europea e un po’ americana, Great Wall rischia di incontrare ostacoli su entrambe le sponde dell’Atlantico. Se davvero vuole arrivarci in fondo, deve fare molto rapidamente.