Economia

Indagine Cida & Censis. La paura di una regressione sociale per il ceto medio

Redazione Economia lunedì 20 maggio 2024

Per una lunga fase della storia italiana, sentirsi di ceto medio ha significato condividere aspirazioni di miglioramento economico e di status sociale, e una potente volontà soggettiva di investimento nel lavoro, nella professione, nello studio nella certezza che un’economia e una società in sviluppo avrebbero premiato talento, impegno e buoni risultati.
Oggi, in un contesto radicalmente diverso, cosa è rimasto del ceto e del senso di appartenenza e del sentire comune della classe media del Paese? Se lo è chiesto la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato (CIDA) che ha commissionato un'indagine al Censis proprio sul valore del ceto medio per l'economia e la società.
«Assistiamo da tempo a una lenta erosione del ceto medio italiano, ma oggi il fenomeno è accelerato e rischiamo di perdere il motore della nostra economia. Il 60,5% degli italiani si identifica con il ceto medio, ma più di uno su due (il 54,2%) prova un senso di regressione sociale e il 75% ritiene che sia sempre più difficile salire nella scala sociale. A me preoccupa soprattutto questa assenza di speranza nel futuro - ha spiegato Stefano Cuzzilla, presidente del Cida -: se le aspettative calano, se non si crede più di poter migliorare la propria condizione, se si ritiene che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali (il 75,1% di chi si dice ceto medio lo crede), sarà il Paese intero a pagare un prezzo altissimo».

Nelle pagine del rapporto del Censis viene utilizzata la parola "fragilizzazione" per indicare questa condizione del ceto medio italiano che è l’esito sia di processi globali che hanno generato il rallentamento della generazione di ricchezza e l’ampliarsi delle disuguaglianze interne, sia di scelte più interne, di orientamento politico nazionale e a livello della Ue relative a fisco e welfare, in particolare sanità e pensioni, che hanno amplificato gli impatti negativi proprio sulle famiglie del ceto medio.

Veniamo ai dati. Tradizionalmente il ceto medio ingloba la maggioranza della popolazione italiana. Il 60,5% degli italiani dichiara di appartenere al ceto medio, il 33,8% al ceto popolare e il 5,7% a quello benestante. Sentono di appartenere al ceto medio l’11,3% delle persone con un reddito annuo al massimo di 15 mila euro, il 46,4% tra 15 e 34 mila euro, il 26,7% tra 35 e 50 mila euro e il 15,6% oltre 50 mila euro. Sono più alte le quote al Centro (66,3%) e, in misura minore, nel Nord-Ovest (62,3%), meno nel Sud-Isole (55,5%) che ha una maggiore polarizzazione tra ceti popolari e benestanti.
Tra gli anziani è più alta la quota che si sente di ceto medio (65,4%) rispetto a giovani (57,7%) e adulti (58,9%).

In un ventennio, dal 2001 al 2021 il reddito pro-capite delle famiglie italiane è sceso del 7,7%, mentre la media europea saliva di quasi 10 punti percentuali, con le famiglie tedesche a +7,3% e quelle francesi a +9,9%, sottolinea il rapporto e ciò spiega perché il presente e il futuro "sono segnati dalla paura del declassamento".
Il 54,2% degli italiani prova un senso di declassamento, la sensazione netta di andare indietro nella scala sociale. Lo sente il 48,4% degli auto-appartenenti al ceto medio, il 66,7% dei ceti popolari e, addirittura, anche il 42,2% degli abbienti. E poi il 45,7% dei dirigenti, il 54,5% degli imprenditori e commercianti, il 50% di impiegati, insegnanti, professioni intermedie, il 59,1% degli operai.
Inoltre, il 59,7% degli italiani sente che il suo tenore di vita sta calando, così come in particolare il 53,4% nel ceto medio, il 74,4% nel ceto popolare e il 40% tra i benestanti.

Il 76% degli italiani pensa che è sempre più difficile salire nella scala sociale: condivide tale idea il 74,7% delle persone che si sentono di ceto medio, il 79,5% di ceto popolare e il 68,3% di ceto abbiente. La percezione del blocco della mobilità sociale è condivisa dal 78,5% dei redditi fino a 15mila euro, dal 78,9% tra 15 e 35 mila euro, dal 77% tra 35 e 50 mila euro e dal 64,2% con 50mila euro e oltre.

Inoltre vi è la diffusa certezza che l’andamento del benessere nel tempo stia diminuendo: ritengono che le generazioni passate vivessero meglio il 66,6% degli italiani e, in particolare, il 65,7% del ceto medio, il 70,1% dei ceti popolari e il 56,7% dei benestanti. Al contempo pensano che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali il 76,1% dei cittadini: il 75,1% del ceto medio, il 77,1% dei ceti popolari e il 78 % degli abbienti.

Il 57,9% degli italiani ritiene che in Italia impegno nel lavoro e talento alla fin fine non sono premiati come dovrebbero. Convinzione condivisa dal 54,9% degli appartenenti al ceto medio, dal 65,7% del ceto popolare e dal 42,5% dei benestanti. Lo pensano anche il 61,8% dei giovani, il 58,1% degli adulti e il 54,7% degli anziani.
Sempre secondo il Censis, l’81% degli italiani pensa sia equo che coloro che lavorano di più guadagnino di più. Un’idea semplice condivisa dalla maggioranza di persone di ogni ceto sociale e che, al contempo, richiama riferimenti valoriali precisi.
Inoltre, il 73,7% degli italiani è convinto che se una persona ha talento ed è capace, è legittimo e giusto che diventi ricca. Lo pensa anche il 75% del ceto medio, il 69,9% del ceto popolare e l'84% dei benestanti.