Paolo Bedoni. «Cattolica Assicurazioni si rinnova restando cooperativa»
Paolo Bedoni, presidente di Cattolica Assicurazioni
Quello che è stato fatto all’interno del consiglio di amministrazione di Cattolica Assicurazioni è un lavoro molto complicato: c’era bisogno di trovare una formula nuova, che nessuno in Italia ha ancora sperimentato, che permettesse di fare convivere la natura cooperativa e identitaria di una delle più grandi compagnie assicurative del Paese con una maggiore apertura alle esigenze del mercato e dei grandi investitori internazionali (compreso il finanziere più famoso del mondo). Il Cda di Cattolica una soluzione l’ha trovata: il 28 aprile proporrà all’assemblea dei soci l’approvazione di un nuovo statuto, con due modifiche importanti. Una prevede il passaggio a un sistema di governance monistico, in cui all’interno di un unico Cda alcuni amministratori hanno i compiti di controllo della gestione che abitualmente spettano a un collegio sindacale. L’altra allarga ai fondi d’investimento la possibilità di registrarsi come soci e alza dal 2,5 al 5% la soglia massima di azioni che un socio "persona giuridica" può possedere con i relativi diritti amministrativi. Il superamento del limite del 5% non impedisce di detenere ulteriori azioni, senza perdere la qualifica di socio. Non sono cambiamenti da poco. Il presidente Paolo Bedoni, che è entrato nel consiglio di amministrazione nel 1999 e un anno dopo ha visto l’ingresso della compagnia in Borsa, sottolinea però che questa è la giusta evoluzione «di un processo che ha visto Cattolica, in maniera responsabile, rimettersi continuamente in discussione».
Per Cattolica si avvia una trasfor- mazione importante. Perché avete sentito l’esigenza di cambiare?
Quando siamo entrati in Borsa, nel 2000, ci siamo entrati con tutti e due i piedi. Lì è avvenuto il primo cambio di rapporto con la base sociale, perché ci siamo dovuti confrontare con gli azionisti, che per una cooperativa come la nostra erano soggetti nuovi: controllano, verificano, hanno interessi specifici rispetto a utili e dividendi. Sono diversi dai soci stabili che hanno un’identificazione identitaria con la compagnia. Il confronto ci ha fatto bene, perché ci ha fatto capire che per crescere dovevamo aggiornare il nostro modello, ma mantenendo la nostra identità. Tutto è partito da lì. Poi ci sono stati altri fattori: il rafforzamento che abbiamo avuto con l’aumento di capitale del 2014, il rinnovo in toto del consiglio di amministrazione dal 2016, lo scioglimento del legame statutario con la Banca Popolare di Vicenza lo scorso anno. Ora chiediamo ai soci di riformare la governance per permetterci di essere maggiormente in grado di affrontare le sfide del mercato, con l’obiettivo di crescere e dare maggiori soddisfazioni a soci e azionisti.
In che senso il passaggio al sistema monistico renderà il Cda più efficiente? Anche con il modello attuale siamo efficienti, perché siamo sempre riusciti a compiere scelte e prendere decisioni senza sbavature. L’aggiornamento della governance però ci darà maggiore flessibilità e ci garantirà più velocità nel prendere le decisioni, con un organo unico che ha la completa responsabilità della gestione. Ed è un organo più snello, perché passiamo da 23 a 17 consiglieri con l’assorbimento del Collegio.
L’allargamento al 5% della soglia di partecipazione per le persone giuridiche farà storcere il naso a qualche socio che vede a rischio il modello cooperativo...
Cattolica è e rimane una cooperativa, con il voto capitario e la partecipazione dei soci. Il nostro modello non è in discussione. L’abbiamo semplicemente temperato per permettere una forma di rappresentanza a potenziali soci di capitale.
In che modo darete rappresentanza ai fondi di investimento? Il nuovo statuto prevede la possibilità per i soci di capitale di eleggere due membri del consiglio di amministrazione: un seggio è assegnato al raggiungimento del 10% del capitale, un secondo al 15%. Ci sembra giusto non rimanere chiusi e dare a chi apporta capitale la possibilità di essere nella governance.
Nella compagine azionaria di Cattolica lo scorso anno è entrato, con una quota del 9%, Warren Buffett, uno dei re della finanza mondiale. Avete incontrato i rappresentanti della sua Berkshire Hathaway? Che intenzioni hanno?
L’arrivo di Buffett è qualcosa che abbiamo appreso dai liquidatori che gli hanno venduto una parte del pacchetto di azioni che era della Popolare di Vicenza. È un investitore che per tradizione investe su aziende solide, ben gestite, con prospettive di crescita precise. Quando un soggetto di questo tipo ti sceglie fa sicuramente piacere. Se lo vorrà, in futuro Berkshire potrà partecipare a una lista di capitale, ma prima deve diventare socio, e finora non ha fatto richiesta. Se la farà, la finanziaria di Buffett sarà benvenuta.
Qualcuno temeva che l’arrivo di Buffett fosse il primo passo verso la trasformazione della cooperativa in una società per azioni.
Invece abbiamo proprio trovato una formula che conferma convintamente l’impresa cooperativa, i suoi riferimenti storici e identitari, e nello stesso tempo riconosce l’importanza del capitale, senza il quale non potremmo crescere nel mercato. Vorremmo essere giudicati sulla capacità di gestione della nostra impresa: questo conta più dei modelli.
Ma che cosa significa, oggi, essere una cooperativa?
Significa prima di tutto sentire la responsabilità sociale come dovere, non come semplice possibilità. Nello svolgere la nostra attività ci devono guidare la costruzione della fiducia nei confronti di soci e azionisti e la massima trasparenza nei confronti del mercato. Redistribuzione non solo di utili quindi, ma anche di identità. È questo il senso della nostra impresa e della sua Fondazione che abbiamo creato nel 2006: ridistribuire ancora melio sui territori le opportunità. Ed è quello che continueremo a fare.