Confidustria. Carraro: «Regole chiare e fiducia nelle imprese»
Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto
Gli industriali veneti lanciano un nuovo appello al governo: non possiamo più aspettare, vogliamo le regole d’ingaggio per la fase due. «Abbiamo bisogno di chiarezza, diteci quali sono le misure restrittive, le rispetteremo alla lettera. Dettateci i tempi, ma in tempo utile per ripartire, non da un giorno all’altro ». Il piano della task force presieduta da Vittorio Colao è coperto da una fitta coltre di riserbo. I tentativi di forzatura arrivati dalla Regioni hanno irrigidito il governo che ha messo il veto su riaperture “locali”. Enrico Carraro, presidente del gruppo di famiglia – leader dei sistemi di trasmissione per macchine agricole e movimento terra – e di Confindustria Veneto, è convinto che non si possa più aspettare.
Presidente Carraro, al momento la vostra azienda è chiusa? È una situazione paradossale, noi non rientriamo nei codici “Ateco” e quindi, tranne nel settore dei ricambi per trattori agricoli, dove lavorano un centinaio di persone, siamo chiusi. Una cinquantina di progettisti lavorano da casa. In Italia abbiamo quattro stabilimenti, il principale a Campodarsego in provincia di Padova, e circa 1400 dipendenti. Poi abbiamo un importante stabilimento in India, al momento chiuso, altri due in Sud America, parzialmente operativi e uno in Cina che è tornato operativo a metà febbraio.
Il vostro stabilimento cinese di Qingdao ha centrato l’obiettivo “contagio zero”, come avete fatto? Abbiamo rispettato i protocolli. In realtà non abbiamo avuto un vero e proprio lockdown ma una sorta di “chiusura” naturale. Per il capodanno cinese la popolazione si sposta nelle campagne, al ritorno i nostri dipendenti, 200 in tutto, hanno dovuto fare la quarantena perché nel frattempo era scoppiata l’epidemia e poi sono rientrati scaglionati.
In Italia le cose procedono più lentamente, cosa succederà? A Roma pensano che si possa riaprire dalla sera alla mattina, addirittura si parla di riaprire alcune attività il 27 aprile tra le quali proprio il settore delle macchine agricole. Già siamo in ritardo per il 4 maggio, non c’è tempo da perdere. In Veneto si ipotizzano 50mila posti di lavoro persi dall’inizio dell’epidemia. Il settore più in crisi è quello della moda, che ha già perso per intero una stagione. Per quanto riguarda la meccanica i nostri clienti tedeschi ci sanno chiedendo la componentistica, si tratta di un settore che vale 8,3 miliardi di euro. C’è il rischio che si rivolgano altrove.
Teme ripercussioni dirette per la vostra attività? Quali misure adotterete? Noi abbiamo la fortuna di essere sue due mercati particolari quello delle macchine agricole e quello delle macchine per il settore delle costruzioni. Adotteremo le misure “canoniche”: termoscanner, mascherine, distanziamento, sanificazione degli ambienti. Credo che i problemi principali riguarderanno gli spostamenti sui mezzi pubblici, e la conciliazione. Il personale femminile, circa il 59% nel settore manifatturiero, tornerà al lavoro senza che ci siano asili nido e materne aperti.
Il rapporto tra Zaia e il governo rischia di complicare la ripartenza? Io credo che il governo sappia che il presidente Zaia ha lavorato bene. Detto questo sulle chiusure decide il governo e vuole applicare regole nazionali. In Cina hanno chiuso Wuhan e la provincia di Hubei, non tutto il Paese. L’Italia ha tutte le carte in regola per farcela. Ricevo ogni giorno decine di telefonate da colleghi. Al governo chiediamo trasparenza e una dimostrazione di fiducia: diteci cosa dobbiamo fare, dateci regole severe ma tempi e modalità certi.