Commercio. Canale di Suez, come la crisi mette a rischio 6 miliardi di export
Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso hanno portato 3.395 navi a dirottare verso il Capo di Buona Speranza, un percorso alternativo che è soggetto alla pirateria e che allunga di 10 giorni il viaggio. E ancora, dal canale di Suez passano il 16% dell’olio d’oliva, il 15% dei prodotti derivati dalla lavorazione dei cereali e il 14% del pomodoro trasformato delle esportazioni agroalimentari italiane, che complessivamente ammontano a un valore di circa 6 miliardi di euro. E prima dell’attuale crisi nel mar Rosso, i flussi commerciali dell’Italia erano pari a circa 148 miliardi di euro, ovvero il 42,7% del commercio estero via mare del Paese e l’11,9% del totale del nostro commercio estero.
Sono emersi questi numeri nel giorno in cui si è riunito il Tavolo sulle conseguenze della crisi in atto e al quale hanno partecipato, fra gli altri, il vicepremier e ministro degli esteri Antonio Tajani e quello delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Il governo italiano ha dichiarato di essere al lavoro per scongiurare il rischio che le conseguenze della crisi divengano strutturali e per salvaguardare la centralità dell’Italia nelle rotte logistiche globali, confermando il ruolo italiano di piattaforma logistica dell'Europa al centro del Mediterraneo. Anche attraverso un’azione di sensibilizzazione dei partner internazionali, in particolare attraverso la presidenza italiana del G7. In proposito, la riunione di luglio dei ministri del Commercio del G7 a Reggio Calabria, presieduta dal ministro Tajani, servirà a dare una specifica attenzione politica proprio agli effetti della crisi del Mar Rosso.
Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, è intervenuto al tavolo, sottolineando come «la crisi del mar Rosso stia mettendo a dura prova le nostre esportazioni; i prodotti che partono dal nostro Paese o sono diretti all'Italia passando per Suez sono principalmente quelli destinati o in arrivo da Asia e Oceania, di cui la quasi totalità viene trasportata via mare. Accanto a olio, cereali e passata di pomodoro ci sono anche tabacchi (33% del totale) e foraggere (40%)».
Una situazione che si riflette anche sui costi di navigazione: da dicembre 2023 a gennaio 2024 le quotazioni del trasporto dal Mediterraneo alla Cina sono cresciute del 659%. «Una crisi - ha precisato Scordamaglia - che arriva in un momento molto delicato per tutta l'industria agroalimentare che da anni sta facendo i conti con lo stallo dei consumi interni e con un'inflazione dei costi alimentari galoppante». Il comparto del food resta il più danneggiato da questa situazione, con l’ortofrutta che ha quasi dimezzato le esportazioni in quantità in Asia (-47%) a gennaio 2024 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Stefano Palombini, proprietario di Caffè Buscaglione, nel ragionare sugli aumenti del costo materia prima caffè e gli effetti sul prodotto finale ha sottolineato come s quest’impennata dei costi stia influendo anche la guerra in Medio Oriente e la situazione incandescente nel canale di Suez. «Il caffè è prodotto nelle zone dei Tropici, da una parte i Paesi Asiatici e dall’altra quelli sudamericani. In mezzo l'Africa ma i paesi africani per una serie di motivi in questo periodo stanno producendo poco. E la merce per arrivare da noi non potendo passare da Suez deve fare il giro dell'Africa, con tre settimane in più di viaggio e quindi il costo del nolo è salito».
Gli ultimi dati sugli attacchi nel canale di Suez e sul traffico merci sono «un po' più confortanti. Ad aprile c'è stata una leggera inversione di tendenza: per la prima volta c'è stata una diminuzione sia degli attacchi, che interessano l'1% delle navi transitate, che delle navi colpite, ridotte allo 0,1% di quelle in transito. Vi è anche una leggera ripresa dello 0,2% del traffico via Suez» ha spiegato il ministro delle Imprese e del made in Italy, presiedendo alla Farnesina insieme al vicepremier Tajani la prima riunione del Tavolo sulle conseguenze della crisi nel Mar Rosso per l'economia italiana. Questi numeri, ha aggiunto, «non ci devono indurre a facile ottimismo, ma servono ad analizzare meglio il fenomeno e a prendere atto che la reazione dell'Italia e dell'Unione europea qualche risultato lo ha ottenuto».