Il dibattito. I campi hanno bisogno di stranieri
Raccolta dei pomodori nei campi
In fila (spesso senza successo) per trovare lavoro nei campi. Nell’ambito dell’emergenza – sanitaria prima ed economica poi –, uno degli effetti osservati è stato una sorta di ritorno alla terra. Nessun esodo, ma certamente un’attenzione particolare al lavoro agricolo da parte di chi, dalla sera al mattino, ha visto vacillare certezze di vita ed economiche. Dunque campi e stalle (forse queste meno), come luoghi per un lavoro magari temporaneo ma pur sempre utile. Ma non solo, perché Covid-19 ha determinato per le imprese agricole una situazione quasi altrettanto improvvisa: proprio sul limitare dell’inizio delle operazioni di raccolta e di preparazione per le semine, il tradizionale afflusso di manodopera (soprattutto straniera) s’è interrotto. E per rendere le cose ancora più complesse, ci si sono messe anche regole d’assunzione e di entrata in Italia complicate da un lato e ostative dall’altro.
Una situazione che, come hanno fatto notare alcuni, pare metta in forse gli approvvigionamenti alimentari del Paese. Anche perché le soluzioni trovate fino ad oggi non sono certo sufficienti. Lavoro agricolo offerto e richiesto, quindi, tra mille difficoltà. Il risultato è stato il proliferare di appelli e di piattaforme di intermediazione web allestite in fretta e furia dalle organizzazioni agricole che pare abbiano avuto un gran successo. Numeri ufficiali non ve ne sono, ma le stime parlano di qualcosa come 15-20mila domande arrivate nel giro di poche settimane. Numeri tutti da verificare, visto che si è liberi di iscriversi anche a più piattaforme, ma che certamente indicano un fenomeno importante. Soprattutto se si guarda a chi chiede di lavorare: non solo studenti e pensionati, ma anche operai cassintegrati, impiegati, professionisti, commercianti, cuochi, autisti. Gli esempi puntuali sono molti e curiosi, come quello di un agricoltore piemontese che in poche ore ha ricevuto 400 domande, anche da tabaccai, per raccogliere frutta.Il problema è un altro, però. A finire davvero al lavoro nei campi, pare sia un numero limitato di aspiranti "braccianti agricoli". Colpa dei molti ostacoli burocratici ma anche della tipologia dei lavori offerti, della loro collocazione geografica, della preparazione di chi vorrebbe diventare anche solo per breve tempo operaio agricolo. Il guaio è qui.
E per comprendere la sua portata basta sapere che, secondo una stima dei Coldiretti, in tempi normali in questa stagione sono arrivati ad essere impegnati anche 370mila lavoratori. Insomma, se non c’è una corsa alla terra, non c’è nemmeno la possibilità reale di correre. Per questo le organizzazioni agricole hanno chiesto a gran voce l’eliminazione degli ostacoli e dei vincoli burocratici (prima di tutto una revisione del meccanismo dei voucher). Cosa che, fra l’altro, in altri Paesi europei è già cosa fatta. Per ora rimane solo un dato di fatto denunciato dai coltivatori diretti: solo nel mese di marzo scorso, con la chiusura delle frontiere ai lavoratori stranieri, 500mila giornate di lavoro sono andate perse.