Economia

I CONTI DEL PAESE. Una campagna per i Btp Sfida di famiglie e imprese

Eugenio Fatigante mercoledì 9 novembre 2011
Non siamo all’«oro alla patria» di memoria pre-bellica. Ma il crescere di appelli nazionalisti con l’invito agli italiani a comprare i titoli di Stato, Bot e Btp, per sostenere il debito pubblico in questo frangente così difficile, è anch’esso una testimonianza della gravità della situazione. Al punto da richiamare l’attenzione anche del presidente degli imprenditori italiani: «I Btp? Io li comprerei, però richiedo che vengano fatte le riforme che abbiamo promesso», ha detto ieri Emma Marcegaglia.In ballo c’è – scusate se è poco – il futuro del Paese perché, al di là dei punti di forza che pur restano nel nostro sistema economico, l’inazione della politica sugli impegni concordati nei vertici internazionali e l’effetto di trascinamento sul debito dell’accresciuto costo delle emissioni (ieri lo spread, lo scarto di tasso d’interesse rispetto al Bund tedesco, ha superato la fatidica soglia dei 500 punti) hanno e avranno conseguenze pesanti nel prossimo futuro. «Con uno spread a 500 non possiamo andare avanti a lungo – ha insistito ancora Marcegaglia –. Un livello così significa una restrizione del credito enorme, che è già in corso, e significa una situazione per i conti pubblici non sostenibile: sono 8,7 miliardi di euro in più di spesa pubblica all’anno. Quindi il Paese non può stare in queste condizioni».I conti fatti dai tecnici accreditano proprio questa cifra: con una vita media del debito pubblico italiano che oggi è di 7 anni e 2 mesi, l’aumento di un punto percentuale dei tassi d’interesse si traduce in un maggior costo di 17,6 miliardi di euro su 3 anni. Come dire un’altra "mini-manovra" cui far fronte. Stando alle ultime stime ufficiali, quest’anno l’Italia dovrà sborsare 76,5 miliardi (vale a dire quasi il 5% del Pil) solo per ripagare gli interessi maturati sui titoli emessi per alimentare la macchina statale. Per il 2012 è già previsto (prima delle impennate degli ultimi giorni) un forte incremento a 85,8 miliardi, che l’anno dopo volerà a quota 90 miliardi. A rassicurare parzialmente, nei giorni scorsi la Banca d’Italia ha fatto sapere che anche con tassi eventualmente vicini all’8% la situazione sarebbe "sostenibile" per i prossimi due anni.Oltre sarebbe difficile, però. Questo spiega le preoccupazioni che spingono più di qualcuno a proporre soluzioni "innovative". Nei giorni scorsi un imprenditore (di una società di leasing), Giuliano Melani, ha acquistato a pagamento una pagina sul Corriere della sera per lanciare un appello ai connazionali: «Ricompriamoci il nostro debito». E lunedì scorso è stato di parola, annunciando di essere andato in banca per acquistare 20mila euro di Btp a 10 anni al tasso del 4,75%. L’idea rilanciata dal quotidiano di via Solferino ha trovato terreno di coltura anche nel Nord-Est: un altro imprenditore, Giuseppe Covre, ex parlamentare leghista ed ex sindaco di Oderzo, nel Trevigiano, ha fatto suo l’appello di Melani, trovando eco fra una cinquantina di professionisti e professori universitari. E a Roma anche il ministro della Difesa, La Russa, e tre deputati come Corsaro e Stracquadanio (Pdl) e Bocchino (Fli) hanno divulgato di aver messo mano al portafoglio.L’interesse ad autosostenerci, senza tornare invece a preferire la via del materasso per i nostri risparmi, è giustificata dalla massa monetaria che è in ballo: da qui a fine 2012 la Repubblica italiana avrà, come minimo, l’esigenza di collocare sul mercato, per finanziarsi, ben 325 miliardi di euro di titoli pubblici. Una massa enorme che, ora che il debito italiano è stato declassato da tutte le agenzie di rating, potrebbe trovare con più difficoltà dei compratori sui mercati esteri. Va pure detto che storicamente gli italiani sono più propensi degli altri europei a dare credito allo Stato: le famiglie italiane ne detengono direttamente già il 14,3%, secondo le ultime rilevazioni di Bankitalia (quota che può superare il 19% calcolando pure le quote di fondi comuni possedute sempre dai connazionali), e hanno mantenuto invariata questa quota fra il 2009 e il 2011. La quota in mano a non residenti si arresta invece al 42,4%, fra le più basse nel continente (la Spagna ci supera d’un soffio, al 42,1%) mentre, a esempio, la Francia dipende dagli investitori esteri per il 57,9% del proprio <+corsivo>stock<+tondo> complessivo di debito (e la Germania è al 50,1%).C’è poi un’altra considerazione da fare. Nel giro degli ultimi due anni è fortemente salita la quota posseduta da un altro soggetto protagonista: le banche tricolori. A fine 2009 la loro esposizione verso il debito sovrano di "casa Italia" non arrivava al 10% (9,8), mentre ora è arrivata al 12,6% del totale, per un controvalore superiore ai 1.600 miliardi, denotando pertanto un balzo di oltre il 20%. Hanno sostenuto la loro parte, quindi, ed è un bene che l’abbiano fatto piuttosto che riempirsi la "pancia" di titoli più pericolosi, come hanno fatto le banche tedesche e francesi. Ora però che le regole europee impongono loro di rafforzare il capitale, ecco che i banchieri nostrani (e, con essi, lo Stato) hanno bisogno che qualcun altro li sostituisca in questo compito. Le famiglie italiane, quindi, al posto delle banche.