Economia

«No D-Day». Call center muti per sopravvivere

Francesco Riccardi martedì 3 giugno 2014
​Domani in tutt’Italia sarà il "No D-Day" e i centralini dei call center dovrebbero restare muti. A squillare sarà infatti lo sciopero generale del settore, proclamato da Cgil, Cisl e Uil contro le delocalizzazioni – ecco il perché del "No D-day" – e per chiedere a governo e Parlamento una serie di misure per tutelare i circa 80mila lavoratori. Non più certo così precari come un tempo, ma gravati oggi, se possibile, da un’incertezza ancora maggiore sul futuro a causa di un mercato che si basa essenzialmente sul taglio dei costi del personale, l’utilizzo improprio degli incentivi, gli appalti al massimo ribasso e, appunto, il trasferimento dei servizi in Paesi come l’Albania, la Romania, la Tunisia.Per comprendere meglio la situazione occorre fare un passo indietro a fine anni ’90 quando il settore comincia a svilupparsi in maniera "spontanea" con gli addetti inquadrati come collaboratori quando non in nero. Dal 2007 comincia un’opera di regolamentazione che porta 26mila lavoratori ad essere assunti con contratto a tempo indeterminato part-time. Le attività Inbound (di coloro che rispondono a chiamate degli utenti) devono essere svolte da personale dipendente, mentre per quelle Outbound (le telefonate dirette ai consumatori per proporre qualcosa) resta possibile il ricorso a personale con contratti a progetto. Oggi il segmento Inbound occupa 45mila persone, per il 70% donne. Quello Outbound impiega circa 35mila addetti con contratto a progetto e, dall’agosto scorso, è previsto che la loro retribuzione sia ancorata ai minimi del contratto delle Tlc. Ci sono poi gli incentivi all’occupazione che hanno determinato lo spostamento delle attività nelle aree deboli del Paese e hanno contribuito di fatto a distorcere il mercato. Essendo il personale la voce principale dei bilanci delle imprese, la concorrenza finisce infatti per basarsi sui tagli di costo piuttosto che sulle tecnologie o l’organizzazione, tanto da spingere le imprese o a re-immergersi nelle attività in "grigio" o a delocalizzare i servizi in Paesi a bassissimo costo del lavoro. Gli stessi sindacati hanno calcolato che un’azienda con personale assunto nel 2007 e che non gode di incentivi deve sopportare un costo orario di 14,55 euro, superiore dell’87% ai 7,76 euro l’ora di un’impresa che può sfruttare i benefici per le aree depresse e i contributi regionali del Fondo sociale europeo. Questo in Italia, figuriamoci la differenza con insiediamenti in altre nazioni. Le gare al massimo ribasso di enti pubblici, con basi inferiori perfino al livello dei minimi contrattuali, fanno il resto acuendo le difficoltà del settore. «Per questo scioperiamo. E chiediamo al governo una serie di modifiche legislative in grado di tutelare meglio i lavoratori e far risparmiare allo Stato stesso buona parte della spesa oggi impiegata negli ammortizzatori sociali – spiega Michele Azzola, segretario della Slc-Cgil –. Sono necessarie norme per regolare le gare al massimo ribasso, l’applicazione dell’articolo 2112 del Codice civile che disciplina la cessione del ramo d’azienda, il puntale recepimento della direttiva 2001/23/CE come avvenuto in altri Paesi europei per contrastare le delocalizzazioni». Prima della manifestazione di domani a Roma, comunque, il governo aveva già aperto un confronto al ministero dell’Economia e anche la Camera sta svolgendo da qualche tempo un’indagine conoscitiva. «Gli interventi che mi paiono necessari – spiega a riguardo il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, Cesare Damiano – sono la riorganizzazione degli incentivi, sconti Irap mirati, l’introduzione del costo orario minimo garantito negli appalti al massimo ribasso e l’applicazione delle norme già esistenti per scoraggiare la delocalizzazione selvaggia». Non si tratta di chiudere anacronisticamente i call center sotto una campana di vetro, ma evitare che legalità e rispetto di standard minimi siano d’ostacolo allo sviluppo di un settore che oggi rappresenta un’occasione di lavoro per migliaia di donne, di over-40 e di giovani.