Indagine. Buona comunicazione e welfare aziendale equo
Presentati a Milano i risultati dell’ultimo studio frutto della collaborazione tra Eudaimon – società leader nel welfare aziendale – e Fondazione Censis, dedicato all’analisi del rapporto tra welfare aziendale e comunicazione. Dopo essersi soffermati, nei precedenti lavori, sullo stato reale e le potenzialità di crescita del welfare e sui temi di accesso ai servizi, stavolta il rapporto si concentra sul grado di conoscenza del welfare tra i lavoratori e sugli effetti di una buona comunicazione per un welfare aziendale più efficace ed un maggior engagement dei lavoratori.
No a intrusioni non autorizzate nelle vite degli altri. Il 60,4% dei lavoratori italiani è preoccupato per l’uso che i social network possono fare dei dati personali degli utenti. Per il 41,5% la protezione della privacy è il problema più grave dell’era digitale, più della possibile manipolazione delle informazioni con le fake news (41,2%) o della eventuale perdita di posti di lavoro legata alla diffusione delle nuove tecnologie (10,2%). È ormai forte la paura di un’intrusione non autorizzata nella propria sfera personale e ora i lavoratori chiedono garanzie certe. Allo stesso tempo, il 72% dei lavoratori non conosce ‒ o conosce appena ‒ il welfare aziendale e il 48,5% ha bisogno di un aiuto per scovare le informazioni adeguate quando vuole accedere ai servizi, per capire a chi rivolgersi per problemi di sanità, previdenza, assistenza. La soluzione potrebbe essere l’avvio nelle aziende di una comunicazione personalizzata sul modello di Booking, di Amazon e delle altre piattaforme web, utilizzando i dati personali dei lavoratori per proporre loro servizi di welfare aziendale personalizzati in base ai bisogni specifici dei singoli lavoratori e dei loro familiari. I lavoratori rispondono di sì, a patto che vengano fugati i loro dubbi in merito al rischio di intrusioni indesiderate nel proprio privato. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale.
Mai più senza regole certe sull’uso dei dati personali. I lavoratori riconoscono in maggioranza (il 61,2%) che i gestori delle piattaforme online stanno adottando le misure di sicurezza necessarie per tutelare la privacy degli utenti. Ritengono però che sia arrivato il tempo di regole certe, trasparenti e concretamente applicabili. Il 79,2% vuole che le autorità introducano una regolamentazione più efficace per evitare intrusioni nella vita privata delle persone. C’è però un 35,2% di lavoratori che ritiene utile l’uso dei dati degli utenti per avere servizi personalizzati e adattati alle singole esigenze e preferenze (tra i millennials il dato supera il 41%). Tuttavia, ben l’80% dei lavoratori giudica ingiusto lo sfruttamento non regolato dei dati personali anche se si ottengono in cambio servizi gratuiti. In sintesi: la privacy vale più di qualsiasi vantaggio in termini di servizi personalizzati. Questi piacciono, sono desiderati, ma solo a fronte di un uso dei dati rispettoso della privacy individuale. E questo per i lavoratori deve essere ancor più vero all’interno delle aziende.
Anche i lavoratori millennials difendono la privacy. Il 52,9% dei lavoratori millennials, grandi utilizzatori di web e device digitali, si dice preoccupato per l’uso dei dati personali da parte dei social network. Se la manipolazione delle informazioni (41,8%) è al vertice della loro graduatoria dei problemi dell’era digitale, segue a ridosso la protezione della privacy (39,5%). Più di tre quarti (il 75,8%) chiedono regole certe dalle autorità e altrettanti (il 75,2%) reputano ingiusto lo sfruttamento non autorizzato dei dati personali anche se in cambio si ottengono servizi gratuiti. L’attivazione nelle aziende in futuro di comunicazioni e servizi personalizzati basati sulla gestione dei dati personali dei lavoratori richiederà quindi regole precise e un’alta professionalità da parte dei gestori dei dati. Dati personali per il welfare aziendale? Solo se gestiti da provider ad alta reputazione sociale. Decisiva per ogni prodotto o servizio di welfare aziendale che viene fornito è la reputazione di chi lo produce e gestisce. Il 74% degli italiani dichiara che la reputazione di chi vende prodotti o servizi è più importante addirittura del prezzo. Così per la gestione in azienda dei dati personali finalizzati a comunicare ai lavoratori le tipologie di servizi disponibili di cui hanno effettivamente bisogno è decisiva la social reputation e la professionalità del provider che collabora con l’azienda.
Per Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon «va garantita ai collaboratori una customer experience soddisfacente, che faciliti l’accesso ai servizi di welfare, favorisca scelte informate e fidelizzi l’utente. La tecnologia offre nuovi strumenti per farlo, che le aziende utilizzano con i loro clienti. Nel rispetto della privacy e della fiducia accordata dai lavoratori, è importante che le imprese lo facciano anche con le loro persone».
Per maggiori informazioni: www.eudaimon.it.