Il fenomeno del bullismo in azienda o mobbing orizzontale, ossia tra colleghi, è tutt’altro che marginale, così come emerge dall’indagine condotta dall’Aidp-Associazione italiana per la direzione del personale su circa 600 direttori e professionisti delle risorse umane. Alla domanda, se nella propria azienda hanno avuto notizia, diretta o indiretta, di episodi devianti come abusi fisici o verbali, intimidazioni, riconducibili a fenomeni di
mobbing orizzontale (quindi non da parte di superiori) o bullismo tra colleghi, oltre il 30% dei partecipanti all’indagine ha risposto di sì. È questo uno dei dati più significativi che emerge dall’indagine condotta dal
Centro Ricerche dell’Aidp guidato dal
professor Umberto Frigelli in collaborazione con
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il risultato della diffusione significativa del bullismo in azienda si associa al dato rilevante della frequenza con sui si manifestano questi episodi: per oltre il 43% degli intervistati, infatti, si tratta di eventi ricorrenti e frequenti. Nel 65% dei casi avvengono in presenza di altre persone o dipendenti. In generale questi episodi avvengono a prescindere da specifiche connotazioni come età, genere o etnia, tuttavia è da sottolineare come il 40% delle vittime di bullismo in azienda sono donne e oltre il 23% giovani. Con percentuali minori si registrano atti di questo tipo verso le minoranze etniche (circa 7%), lavoratori diversamente abili (circa 5%), lavoratori con orientamento sessuale non ritenuto convenzionale (5,5%) e lavoratori con elevata anzianità (7,5%). Nelle maggior parte dei casi tali episodi si manifestano tramite pettegolezzi (53%), esclusione e boicottaggio intenzionale della persona coinvolta (oltre il 34%), svalutazione delle opinioni e critica continua (oltre 32%), svalutazione del lavoro svolto verso il management (31,5%), azioni aggressive verso i colleghi (oltre 23%), invasione della privacy altrui (circa il 12%). Rispetto al passato per il 55% degli intervistati oggi prevale una maggiore tendenza a denunciare questi episodi. Nel 40% dei casi tali denunce avvengono tramite segnalazione alla direzione del personale, per l’11% attraverso il sistema di gestione delle segnalazioni (
whistleblowing) e per circa il 9% tramite segnalazione alle rappresentanze sindacali. Rispetto a un evento così diffuso, il 60% delle aziende ha predisposto strumenti di segnalazione anonima (sportelli di ascolto,
whistleblowing) o di intervento (comitato etico,
ombudsman) con cui gestire segnalazioni di episodi di bullismo o
mobbing orizzontale. Circa il 20%, degli intervistati, comunque, ha previsto programmi di prevenzione del bullismo nei luoghi di lavoro e tra questi le principali attività riguardano: la diffusione di un Codice di comportamento (oltre l’80%), la formazione del personale sulle relazioni interpersonali mirate a prevenire il bullismo e il
mobbing (47% circa), l'istituzione del processo di
whistleblowing (42%). «Dai dati emersi dalla nostra indagine risulta chiaramente che il fenomeno del bullismo in azienda è molto diffuso e ciò che colpisce ulteriormente è la percentuale di frequenza di questa tipologia di accadimenti. Uno spaccato patologico della vita in azienda che forse non pensavamo fosse così ampio. Lo scopo della nostra iniziativa era quello di capire l’estensione del problema e, nel caso, farlo emergere, denunciarlo e renderlo visibile. Probabilmente, data l’ampiezza e la natura del fenomeno, è necessario pensare a un intervento normativo mirato che definisca una cornice di azione precisa e tendente a debellare definitivamente una pratica intollerabile e profondamente incivile, oltre all’individuazione di strumenti fattivi da realizzare insieme alle rappresentanze dei lavoratori e delle imprese. L’ Aidp è pronta a fare la propria parte e fin da oggi si rende disponibile, anche nei confronti delle istituzioni e della ministra del Lavoro Marina Calderone, a istituire un tavolo di lavoro per giungere a una soluzione reale della questione», spiega
Matilde Marandola, presidente nazionale di Aidp.
Inoltre è stata istituita anche la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, un’iniziativa
nata in Italia nel 2017 per sensibilizzare la popolazione su un fenomeno che ogni anno coinvolge
migliaia di giovani, soprattutto,
nelle scuole e sul web. Ma se negli ultimi anni sono state numerose le attività organizzate con lo scopo di combattere il bullismo, ancora poco o nulla è stato fatto nel mondo del lavoro
in merito a questa nuova problematica di cui si parla troppo poco. Infatti, all’interno degli ambienti lavorativi si sta sempre più diffondendo una
nuova forma di vessazione che colpisce
professionisti e
dipendenti: si tratta del
workplace bullying, una
forma di comportamento sociale di tipo
violento e
ripetuto nel tempo attuato nei confronti di
colleghi e
collaboratori. Il
bullismo infatti
trova linfa all’
interno degli ambienti lavorativi a tal punto da essere definito da
Hr Executive come fonte di una “
epidemia fuori controllo”. Secondo i dati del
Workplace Bullying Institute, addirittura oltre sette
dipendenti su dieci (
75%)
dichiarano di essere stati bersagli o di aver assistito ad atti di bullismo sul posto di lavoro per un
totale che va oltre i 79 milioni di collaboratori coinvolti solo negli Stati Uniti. Questo fenomeno, che può includere
abusi verbali,
condotte offensive,
intimidazioni o
aggressioni, può causare sia danni fisici sia un crescente stato di angoscia
mentale, nonché
alto assenteismo e
rotazione dei dipendenti,
bassa produttività e, di conseguenza,
danni alla reputazione di un’azienda. All’interno di questo scenario, altamente delicato,
emerge la figura del responsabile d’azienda, chiamato ad
ascoltare il proprio team operativo per trovare soluzioni mirate a mantenere ottimale il
benessere organizzativo dell’ambiente di lavoro.
A tal proposito, risulta importante l’opinione di
Beniamino Bedusa, presidente di
Great Place to Work Italia, azienda di consulenza
leader nell’analisi del clima aziendale, nell’
employer branding e nel
change management, che dice la sua in merito
all’esplosione del fenomeno: «
La pandemia ha ulteriormente rafforzato una problematica già esistente. All’interno di ogni posto di lavoro è fondamentale avere, anzi percepire
un clima aziendale e organizzativo produttivo e stimolante. Per questo motivo, i
capi d’azienda sono e saranno sempre più importanti. I collaboratori
necessitano di essere ascoltati: solo così è possibile trovare
soluzioni mirate,
tempestive ed efficaci per contrastare un fenomeno che si sta diffondendo a macchia d’olio in buona parte dell’universo professionale e lavorativo. A tal proposito sono
numerosi gli esempi di aziende virtuose che si impegnano quotidianamente per contrastare la problematica: queste imprese, oltre ad
ascoltare le singole persone,
le supportano all’interno degli ambienti di lavoro e creano
iniziative,
policy e
benefit per occuparsi del loro
benessere psicofisico. E noi, come
Great Place to Work, ne abbiamo la prova grazie alle
nostre survey e, allo stesso tempo, alle
testimonianze delle Certified Companies e
dei Best Workplaces». Oltre a tutto ciò, è importante dare risalto al fatto che il
workplace bullying non è un fenomeno che riguarda solo gli
Stati Uniti, ma
anche l’Europa. Entrando più nello specifico, ecco le indicazioni del portale britannico
People Management:
più di un quarto dei collaboratori coinvolti in un recente sondaggio afferma di essere stato
vittima di vessazioni all’interno del proprio workplace. E ancora, secondo l’
Irish Times il
9% dei lavoratori irlandesi ha subito atti di bullismo. Gli
effetti psicologici correlati a queste esperienze negative risultano
devastanti: i professionisti coinvolti, infatti,
hanno maggiori probabilità di avvertire problemi di salute mentale come ansia e depressione. Ma non è tutto, il bullismo sul lavoro risulta un
topic d’interesse anche sui
social: l’hashtag
#workplacebullying, infatti, conta
oltre 19mila contenuti pubblicati su Instagram per raccontare la problematica
attraverso il web.