Svolta. British Telecom e la forza degli autistici nella lotta al cybercrime
I manager che partecipano al World Economic Forum non vanno a Davos solo per salutare i colleghi e ascoltare i capi di Stato. Questo ritrovo annuale di potenti di tutto il mondo è anche l’ambiente dove la classe dirigente del pianeta si confronta sulle idee. Come quella che quest’anno ha portato a Davos l’amministratore delegato di British Telecom, Gavin Patterson.
«Nell’era digitale la neurodiversità è un asset» ha spiegato il manager, illustrando alla platea come il modo di ragionare delle persone affette dalla sindrome di Asperger o da autismo sia efficacissimo nell’attività di contrasto alla criminalità informatica. Molte persone affette da questi disturbi «pensano in modo più schematico e sono portate a fare più facilmente associazioni logiche. Un’area comune di vantaggio a questi modi di pensare è l’attitudine alla matematica e al riconoscimento delle forme: skill cruciali per la cybersecurity» ha detto Patterson.
Quella di Patterson, che guida un colosso da 24 miliardi di sterline di fatturato, non è una considerazione banale su autismo e genio, ma una concreta indicazione di un cambio di atteggiamento necessario. In British Telecom si sono resi conto di come il tradizionale sistema di arruolamento dei dipendenti vada modificato per non perdere alcuni dei migliori talenti della sicurezza informatica, che sarà tra le attività più importanti dei prossimi decenni. Un candidato autistico non se la cava bene in un classico colloquio di lavoro e spesso non trova ambienti lavorativi adatti a lui. Questo ha spinto il gruppo inglese a cambiare metodi. Iniziando dal «ridefinire il modo in cui interagiamo con i candidati, incoraggiandoli a parlare dei loro interessi piuttosto che a porre loro domande tipo interviste».
«Questo approccio ovviamente non funzionerà per ogni individuo neurologicamente diverso, ma dobbiamo fare di più per pubblicizzare e migliorare questa opportunità» nota Patterson, invitando gli altri manager a cogliere «la fantastica opportunità di investire su persone che spesso il mercato del lavoro accantona, così che loro in primis, ma anche le aziende e la società nel suo complesso possano trarne giovamento». Perché in definitiva «nell’era digitale, la neuro-diversità dovrebbe essere vista come un vantaggio competitivo, non come un ostacolo».