I mercati. Borse europee ancora in rialzo trainate dai titoli bancari
Le Borse europee, che già ieri avevano centrato il rimbalzo dopo i cali dei giorni scorsi, proseguono stamattina toniche, con gli investitori che ritrovano la fiducia dopo le posizioni delle banche centrali sul salvataggio di Credit Suisse da parte di Ubs. Tiene banco anche il tema delle politiche monetarie in vista delle prossime decisioni della Fed, mentre sul fronte valutario l'euro è in rialzo a 1,0730 sul dollaro. L'indice d'area stoxx 600 guadagna l'1,1%. Milano guadagna il 2,2%, Madrid (+1,8%), Parigi e Francoforte (+1,2%) e Londra (+1,3%). I listini sono sostenuti dal comparto delle banche (+3,3%) e dall'energia (+2,4%).
Nel Vecchio continente sale anche il comparto azionario delle auto (+1,8%), dopo i dati di immatricolazioni di febbraio. Acquisti anche sull'informatica (+0,7%). Avanzano le utility (+0,6%), con il gas in calo. Ad Amsterdam le quotazioni registra una flessione dello 0,8% a 39 euro al megawattora. Dall'inizio dell'anno il prezzo segna un calo del 48,9%. Sul fronte delle materie prime il petrolio è in rialzo con il Wti che guadagna lo 0,8% a 68,2 dollari al barile e il Brent a 74,2 dollari (+0,6%). L'oro prosegue sotto i 2.000 dollari l'oncia (1.967 dollari), con un calo dello 0,7%. In lieve rialzo i rendimenti dei titoli di Stato. Lo spread tra Btp e Bund sale a 183 punti, con il tasso del decennale italiano al 4,02%. In aumento anche i rendimenti della Spagna al 3,2% (+3 punti base) e quello della Grecia al 4,1% (+4 punti).
Tonfo di First Republic
Nuovo tonfo di First Republic ieri a Wall Street: la banca ha perso il 47% crollando a nuovi minimi storici con il suo futuro che appare sempre più in bilico. Gli aiuti per 30 miliardi di dollari concessi dai maggiori istituti americani non sono riusciti a rassicurare, così come non ci sono riuscite le nozze fra Credit Suisse e Ubs. E di fronte a una situazione che rischia di precipitare, con possibili onde d'urto su tutto il sistema, è allo studio un nuovo piano di salvataggio per rafforzare il capitale della banca. A lavorare all'iniziativa è l'amministratore delegato di JPMorgan Jamie Dimon che, come nel 2008, si impone sulla scena da protagonista.
Durante la crisi finanziaria Dimon si era guadagnato il soprannome di "maghetto di Wall Street" e molti sperano che possa ora compiere una "magia" per First Republic. Il suo primo tentativo non è andato a buon fine: l'aver messo insieme le 11 maggiori banche americane per assicurare alla banca 30 miliardi di depositi non ha spazzato via i dubbi sulla sostenibilità di First Republic. Ora insieme agli altri amministratori dei colossi americani, Dimon studia la possibilità di convertire in capitale tutti o parte dei 30 miliardi di dollari accordati. Le trattative sono in corso e - secondo indiscrezioni - includono anche le autorità americane, impegnate nel fine settimana nel salvataggio di Credit Suisse che sembra aver fatto loro dimenticare, secondo i critici, i problemi in casa.
A pesare su First Republic è la fuga dei depositi ma anche i downgrade decisi da S&P, due in una settimana con i quali ormai il suo rating è 'B+'. I 30 miliardi di depositi "potrebbero allentare le pressioni sulla liquidità nel breve termine ma - ha spiegato l'agenzia - potrebbero non risolvere le sfide sostanziali di finanziamento e redditività che la banca riteniamo stia affrontando".
L'operazione Credit Suisse
Il salvataggio di Credit Suisse è stato reso possibile dal sostegno della Confederazione elvetica, dell'Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e della Banca nazionale svizzera (BNS). Conformemente all'ordinanza di necessità del Consiglio federale, Credit Suisse e UBS possono ottenere un sostegno di liquidità sotto forma di prestito con privilegio nel fallimento per un ammontare massimo complessivo di 100 miliardi di franchi. La soluzione ha incontrato l'immediato favore della presidente della Bce Christine Lagarde e del segretario al Tesoro Usa Janet Yellen del presidente della Fed Jerome Powell. "La soluzione è sostenuta dal governo, che garantisce le condizioni quadro per il suo successo", ha dichiarato il presidente della Confederazione elvetica Alain Berset in una conferenza stampa. Che ha ricordato che il Credit Suisse è una delle 30 banche considerate "a rischio sistemico" nel sistema bancario globale e ha sottolineato che il suo destino è "decisivo" per la Svizzera e la sua economia.
La Confederazione Elvetica ha offerto una garanzia equivalente a oltre 9 miliardi di euro per ridurre i rischi sostenuti da UBS nell'acquisizione del Credit Suisse. Questa garanzia funziona "come se fosse un'assicurazione" e coprirà eventuali perdite "da un portafoglio molto specifico" del Credit Suisse identificato come potenzialmente problematico, e solo se le perdite superano una soglia che il ministro non ha specificato.
Keller-Sutter ha affermato che il fallimento del Credit Suisse "avrebbe avuto conseguenze irreparabili" non solo per la Svizzera, ma anche per il settore bancario nel resto del mondo, e che per questo motivo "ci assumiamo responsabilità che vanno oltre i nostri confini". Secondo il ministro l'accordo "non è un salvataggio" perché questa figura si applica solo nel caso di banche che non possono assumere i loro obblighi a causa dell'insolvenza, cosa che non è avvenuta nel caso del Credit Suisse.
"Non si tratta di un problema di solvibilità, ma di una crisi di fiducia", ha chiarito. Tuttavia, la fuga di asset subita dalla banca la scorsa settimana e il forte calo del prezzo delle azioni in pochi giorni hanno aperto la possibilità concreta di un fallimento, "che avrebbe avuto un immenso impatto collaterale, che avrebbe potuto estendersi a UBS e ad altre banche" in tutto il mondo, ha detto il ministro.
Le autorità hanno confermato che una possibile fusione tra Credit Suisse e UBS è stata discussa già il 15, ma che si è deciso di mantenere il massimo riserbo per evitare di innescare ulteriore nervosismo sui mercati. "La soluzione che abbiamo trovato è solida e adatta a stabilizzare la situazione e a rassicurare i mercati finanziari", ha dichiarato Berset.
Il presidente di UBS Colm Kellenher, presente alla stessa conferenza stampa, ha confermato che la transazione non sarà sottoposta al voto degli azionisti e che la sua conclusione definitiva potrebbe richiedere settimane o addirittura mesi prima di essere pienamente approvata dagli organi di regolamentazione.
L'operazione avrà un impatto sulle retribuzioni, spiega Kellenher, che annuncia: "Ridurremo le dimensioni della banca d'investimento CS. Quando si tratta di tagli di posti di lavoro, troppo presto per dire di più. Dobbiamo prima analizzare la situazione e poi decideremo".