Viaggi. Le clausole di Booking (e degli altri) nel mirino della Corte Ue
Ginevra Gorigiovedì 19 settembre 2024
La sede di Booking.com ad Amsterdam, nei Paesi Bassi
Manca ancora un passaggio, ma l’insindacabile sentenzamette fine ad anni di diatribe sullecontroverse procedure concorrenziali attuate dalle piattaforme di prenotazione alberghiera.Fra le quali, la nota e potente Booking.com ha fatto scuola con un caso servito dapretesto. Per la Corte di Giustizia europea, il servizio olandese di intermediazione fra viaggiatori e strutture controllato dall'americana Booking Holdings, e di rimando gli altri omologhi in rete, in questi anni hanno applicato ai propri affiliaticlausole restrittive sulle tariffe«nonnecessariee in contrasto con il diritto dell’Unione».
Ladinamica della questioneè piuttosto semplice: le societàvietanoad hotel e bed and breakfast convenzionati di offrire pernottamenti a prezzi inferiori di quelli offerti sul suo sito, obbligandoli di fatto a stabilire una relazione di quasi esclusività con la piattaforma. Booking e le altre, infatti, traggono i propri ricavi dalle commissioni che le strutture pagano per ogni prenotazione effettuata dagli utenti. Da qui l’escamotage per massimizzare i profitti, applicandounaclausola “di parità” pensata in apparenzaper garantireuna concorrenza leale tra gli operatori del settore e invece discriminatoria. All'inizio, il divieto impostoagli albergatori si estendeva sia ai canali di vendita gestiti dagli stessi sia a quelli controllati da terzi, ossia gli altri software di intermediazione esistenti (clausola di parità ampia). Dal 2015 però, anno in cuil’agenzia olandese è entrata in attività, le piattaforme hanno cominciato ad applicare una seconda e più “ristretta” versione della clausola, limitata ai soli canali commerciali delle strutture ricettive. Comunque lo si veda, un possibile abuso di posizione dominante. Com'era prevedibile, le proteste del settore alberghiero non si sonofatte attendere. I primi a interveniresono stati i giudici tedeschi, stabilendo che le clausole, tanto ampie quanto ristrette, sulle tariffe imposte dai siti di prenotazione non erano compatibili con la legislazione sulla concorrenza nel vecchio continente. L’autorità federale garante in Germania aveva già emesso lo stesso verdetto prima che, proprio Booking, si rivolgesseal Tribunale di Amsterdam per far dichiarare valide tutte le clausole incluse nel suo regolamento.Ed è stato il maggior Tribunale dei Paesi Bassi, non potendo ignorare l’evidente contrasto tra le norme europee equelle incriminatesulla parità della tariffa, a decidere di passare direttamente la pallaalla Corte di Giustizia.Dai giudici del Lussemburgo è arrivata la doccia fredda. Dopo aver esaminato il caso dell’agenzia neerlandese, l’organo ha sì decretato l’utilità delle piattaforme di intermediazione, il cui servizio – si legge nella nota- «ha prodotto un effetto neutro se non addirittura positivo sulla concorrenzaconsentendo, da un lato, ai consumatori di accedere ad un’ampia gamma di offerte di alloggio e di confrontare tali offerte in modo semplice e rapido secondo diversi criteri e, dall’altro, ai prestatori di servizi alberghieri di acquisire maggiori visibilità». Ma,ha anche sentenziato,non èprovato che clausole del genere siano «necessariené proporzionate rispetto agli obiettivi economici» dei siti e, nel caso specifico, di Booking. Anzi, secondo la Corte, per quantopossano aiutare a sconfiggere la concorrenza inferiore e a ridurre il cosiddetto“parassitismo”, rischianodi penalizzare le piattaforme più piccole e recenti escludendole dal mercato. Stangata immediata dunque? No, anche se inevitabile. Perché la decisione dell’istituzione è nata da un rinvio pregiudiziale, strumento che consente ai giudici degli Stati membri dell’Ue di rivolgersi ad essa per poterverificare se una norma su cui devono esprimere parere di legittimitàè compatibile con il diritto dell’Unione. Ciò che hanno fatto i giudici olandesi con il caso Booking. La Corte valuta e risponde, senza risolvere la controversia a livello nazionale. Toccheràancora al Tribunale di Amsterdam chiudere la causa applicando la sentenza della Corte di Giustizia.